Viaggiare nel tempo è in assoluto la possibilità più affascinante
che sia stata dimostrata dalla fisica dell'ultimo mezzo secolo. Ancora
una volta la scienza ha incalzato la fantascienza, e ciò che un tempo
sembrava una pura speculazionedell'immaginazione, ha definitivamente
ricevuto l'appellativo di "possibile". Tra relatività generale e buchi
neri rotanti, cunicoli spazio-temporali e particelle ultraluminali, ci
siamo documentati e siamo andati a vedere di capirci qualcosa.
"Se non mi chiedono che cos'è il tempo, lo so", disse una volta un
vecchio saggio. "Ma se me lo chiedono, non lo so più". La frase, senza
dubbio assai suggestiva, è in realtà da attribuire a Norbert Elias,
sociologo e storico tedesco di grande fama, con le quali introduce il
suo Saggio sul Tempo (ved. bibliogr.), e la ragione per cui
abbiamo deciso di farle nostre è che, come spesso solo la saggezza
popolare riesce a fare, descrivono in maniera perfetta l'assoluta
enigmaticità e ambiguità del concetto di "tempo" rispetto al punto di
vista umano. Perché, a pensarci bene, il tempo è una cosa davvero
strana. E lo è tanto più per il fatto che tutti noi ci viviamo immersi
dentro naturalmente come pesci nell'oceano. Esso è parte integrante di
ciò che siamo, della materia che ci compone e del mondo che ci
circonda. Sperimentiamo quotidianamente le sue leggi inflessibili, e
il suo muto ticchettio ci è oltremodo familiare come l'orologio che
teniamo al polso. Eppure, riflettendoci, è tutt'altro che facile
attribuirgli una definizione che ci soddisfi. Il tempo ci sfugge. Il
tempo ci elude... Si dice che per osservare un fenomeno bisogna porsi
all'esterno di esso, e con il tempo non possiamo farlo, perché siamo
come Pinocchio nella balena. Ne possiamo cogliere l'essenza, intuirlo,
avvertirlo, ma qualsiasi tentativo facciamo di circoscriverlo ci
spiazza al punto che verrebbe quasi da chiedersi se il tempo non sia
una nostra invenzione e se esisterebbe anche senza l'uomo. Il problema
non è da poco, se si considera che volendo provare a viaggiarci,
dovremmo almeno capire di che cosa si tratta, ovvero capire dove (o
quando) vogliamo andare.
Il tempo è "l'inarrestabile trascorrere delle cose in una successione
illimitata di istanti". Questa è la definizione che ne dà il
dizionario della lingua italiana Zingarelli, ma purtroppo anch'essa
non è esauriente, semplicemente perché non è una definizione,
bensì una tautologia. Essa parla infatti di successione di "istanti",
ma se sul medesimo dizionario andiamo a vedere la definizione di "istante"
scopriamo che è un "momento brevissimo di tempo". E pertanto si
potrebbe affermare che il tempo è una successione illimitata di
momenti brevissimi di tempo! Per cui, a questo punto, dopo non essere
riusciti a trattenerci dal buttare il suddetto dizionario dalla
finestra, prima di procedere sarà opportuno cercare di capire un po'
meglio quale accidenti è il terreno del nostro viaggio.
La creazione del tempo
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Londra 1955.
Uno dei primi orologi atomici basati sul principio
dell'oscillazione dell'isotopo di Cesio 133. |
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Dopo essere stato teletrasportato dall'orbita standard direttamente
nella stanza piena di quadranti, fili e tubi, alla vista di quel
misterioso cilindro lungo circa tre metri, il signor Spock avrebbe
certamente alzato un sopracciglio e con il suo immancabile aplomb
avrebbe esclamato: "Interessante!". Malgrado ciò, uno scienziato del
suo calibro non ci avrebbe impiegato molto a rendersi conto di che
cosa si trattava, mentre per noi, se non ce lo dicesse la targa che
c'è appiccicata lì davanti, sarebbe un po' più complicato capire che
quel coso, adagiato in una complessa struttura d'acciaio, è
il tempo. Il tempo terrestre, beninteso, l'orologio standard
sul quale tutti gli orologi planetari direttamente o indirettamente
vengono sincronizzati. Ce ne sono numerosi sul nostro pianeta di
orologi atomici al cesio (isotopo 133), e di vari modelli, ma quello
conservato a Bonn pare sia il più preciso, con buona pace degli
svizzeri!
E' dal 1967 che la tecnologia ha mandato in pensione la vecchia e
imprecisa definizione di "secondo" come 86400a parte del
giorno terrestre, a beneficio di un multiplo delle oscillazioni della
radiazione emessa dall'atomo di CS133, per la
precisione 9.192.631.770 di volte. Per ironia della sorte, e con
grande fortuna dei linguisti, quest'approccio ha finito per confermare
la definizione di tempo del nostro dizionario, ovvero una sequenza
precisa di istanti temporali definiti. Tuttavia, come si capisce
facilmente, il secondo, comunque lo si voglia definire, è soltanto una
convenzione basata tanto sulla periodicità della radiazione, quanto su
una ben determinata frazione del giorno terrestre. Questo è
semplicemente il modo più ragionevole di misurare il tempo del pianeta
Terra, ma non è il "tempo". Per avere una prima descrizione
soddisfacente di ciò che è il tempo, dobbiamo quasi
paradossalmente spingerci indietro nel tempo fino all'epoca di
Aristotele.
Il tempo delle mele
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Aristotele |
"Il tempo è movimento". La definizione espressa dal grande filosofo
greco è semplice ma efficace, in quanto introduce il concetto di "cambiamento"
dello stato delle cose, che poi è a tutti gli effetti il solo fattore
che riveli ai sensi il trascorrere del tempo e quindi l'esistenza del
tempo stesso. Va detto che, a questo stadio del pensiero e della
conoscenza umana, il "tempo" non era ancora considerato un'entità
assoluta, ma solo una misura della mutevolezza della realtà e tanto
bastava, almeno finché la matematica non cominciò a essere applicata
per descrivere il mondo reale, creando in tal modo la fisica. Si
dovette attendere fino al medioevo per avere una prima astrazione
assoluta del tempo, e fino alla nascita della scienza moderna con
Galileo, perché il tempo venisse considerato come una
quantità misurabile essenziale nell'attività ordinata del cosmo.
Intorno al 1700 fu poi Isaac Newton che formalizzò e
matematicizzò definitivamente il concetto, con la sua famosa
asserzione: "Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua
natura senza relazione ed alcunché di esterno, scorre uniformemente".
Per la prima volta grazie a Newton il mondo divenne perfettamente
prevedibile grazie alla matematica, e il tempo era soltanto uno dei
parametri essenziali per comprendere la realtà. I corpi materiali
percorrevano percorsi prevedibili, soggetti a rigorose leggi fisiche e
matematiche che facevano dell'universo un ciclopico meccanismo ad
orologeria.
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Galileo |
A prescindere dal determinismo esasperato che questa visione del
mondo suscitò all'epoca, l'approccio del matematico inglese costituì
tuttavia un passo in avanti epocale nell'ambito della comprensione
dell'universo, perché sancì definitivamente quello che Galileo aveva
cominciato, affibbiando definitivamente al tempo un ruolo fondamentale
nella descrizione della realtà fisica. Ma la visione di Newton, così
perfetta per spiegare i meccanismi di tutti i giorni, cominciò ad
andare in crisi quando vennero alla luce i fenomeni elettrici ed
elettromagnetici. L'impianto newtoniano, che pareva così solido, stava
per crollare. Era solo questione di tempo.
La relatività del tempo
Nel 1905, un appena ventiseienne impiegato dell'ufficio brevetti di
Berna con la passione della fisica di nome Albert Einstein,
postulò che la velocità della luce (i famigerati 300.000 km/s, per
l'esattezza 299.792,4574 km/s) non era superabile da alcun oggetto
fisico. L'affermazione si rivelò sufficiente a innescare la fine della
fisica di stampo newtoniano, e la teoria della relatività speciale o
ristretta, resa pubblica quello stesso anno, aprì le porte a una
concezione totalmente rivoluzionata della realtà, inaugurando quello
che, con la pubblicazione avvenuta undici anni più tardi della più
complessa teoria della relatività generale, avrebbe rappresentato uno
dei più grandi progressi della storia del pensiero umano. Alla base di
tutto c'era però quella tanto più apparentemente semplice, quanto più
geniale affermazione sull'invalicabilità della velocità della luce,
alla quale si aggiungeva un corollario fondamentale, ovvero che la
luce stessa aveva una velocità fissa, indipendente dal moto della
sorgente o dell'osservatore.
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Albert
Einstein |
Il concetto è molto più semplice di quanto non possa sembrare a
prima vista. Poniamo che Newton sia fermo al margine di una ferrovia,
mentre Einstein se ne stia su un treno in moto sulla medesima ferrovia
alla velocità di 50 km/h. Se Einstein fosse seduto, e quindi immobile,
nel suo scompartimento, Newton se lo vedrebbe passare davanti alla
velocità di 50 km/h, mentre se Einstein si trovasse sul tetto del
treno e corresse nella stessa direzione delle carrozze alla velocità
di 10 km/h, per l'osservatore-Newton il collega si sposterebbe a
50+10=60 km/h. E fin qui le due teorie, quella di Einstein e quella di
Newton, sono in perfetto accordo: i due riferimenti, essendo in moto
relativo uno rispetto all'altro, hanno una percezione diversa del
movimento e per stabilire le velocità con le quali ciascuno dei due
vede l'altro è sufficiente usare la semplice legge di composizione
delle velocità. Supponiamo ora che, nella seconda situazione sopra
descritta, quasi per fare un dispetto a Newton, Einstein abbia preso
in mano una torcia e proietti un fascio di luce in una direzione, ad
esempio in quella del moto del treno. Secondo la meccanica newtoniana,
fermo al margine della ferrovia Newton dovrebbe vedere la luce
spostarsi alla velocità complessiva di circa 300.000 km/s (velocità
della luce) + 50 km/h (velocità del treno) + 10 km/h (velocità di
Einstein che corre sul treno), mentre per Einstein, solidale con la
fonte luminosa, la luce si sposterebbe sempre a 300.000 km/s. Ebbene
questo non succede! Sia per Einstein che per Newton, la velocità della
luce è la medesima. Il moto della sorgente di luce non ha importanza:
per qualsiasi osservatore la velocità della luce è sempre la
stessa. La cosa più straordinaria è che, anche se Einstein salisse
sull'Enterprise e si muovesse a 200.000 km/s, i raggi di luce emessi
dall'astronave continuerebbero a muoversi per tutti gli osservatori
dell'universo ancora alla stessa velocità di 300.000 km/s.
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Isaac Newton |
Questo, a pensarci bene, ha tutta l'aria di un paradosso, perché
nel caso del moto rettilineo uniforme come lo abbiamo considerato, la
velocità corrisponde allo spazio percorso nell'unità di tempo (v=S/t),
ed esiste soltanto un modo affinché la velocità della luce possa
rimanere identica per qualsiasi osservatore dell'universo, di
qualunque moto esso si muova, ovvero solo se le distanze "S" e gli
intervalli di tempo "t" risultano in una certa misura differenti
per i vari osservatori, a seconda delle loro condizioni di moto.
Per la prima volta dunque nel 1905, il tempo non è più un assoluto,
non scorre più uniforme e indipendente, con un ritmo costante per
tutti gli osservatori dell'universo come considerava Newton, ma
dipende dalla velocità con cui gli osservatori si muovono. Anzi, come
mostrano le Trasformazioni di Lorenz, più la velocità di spostamento è
prossima a quella della luce, più il tempo "rallenta", fino
all'approssimarsi del limite non raggiungibile costituito dalla
velocità della luce stessa. Se un qualsiasi osservatore riuscisse per
assurdo a eguagliarla, il "suo" tempo risulterebbe fermo. L'avvio alla
relatività ormai era stato dato e per i gemelli fu l'inizio di
un'epoca di paradossi.
Tempo soggettivo
E' certamente uno dei più celebri esempi conosciuti nel campo della
fisica, ma vale ugualmente la pena richiamarlo, casomai qualcuno non
ricordasse esattamente i termini della questione. Supponiamo di avere
due gemelli che, per comodità, chiameremo d'ora in avanti Silvio e
Luigi (spiritosone... N.d.R.). Ora ipotizziamo che, mentre
Silvio se ne sta tranquillamente sulla Terra, Luigi intraprenda un
lungo viaggio interplanetario a una velocità prossima a quella della
luce verso una stella distante 10 anni-luce. Se la sua astronave si
muovesse a 200.000 km/s, per la meccanica newtoniana Luigi
impiegherebbe 15 anni per giungere a destinazione e altri 15 per
tornare. E, trascurando i cambi di direzione, accelerazioni e
decelerazioni, e tenendo in considerazione solo il moto rettilineo
uniforme, dalla partenza di Luigi per Silvio saranno effettivamente
trascorsi 30 anni. Tuttavia, a causa della deformazione temporale, per
Luigi ne saranno invece trascorsi circa solo 22! Come previsto dalla
relatività speciale, l'elevata velocità di spostamento di uno dei due
osservatori ha fatto fluire il tempo in maniera diversa. Paradosso? A
prima vista sì, ma è un errore chiamare quest'effetto con il nome di "paradosso
dei gemelli", perché non si tratta affatto di un paradosso, bensì di
un effetto fisico preciso, dimostrato e del tutto reale, anche se non
ancora sperimentabile, poiché ad oggi non abbiamo ancora a
disposizione veicoli che ci consentono di viaggiare ad una velocità
tale da apprezzare il fenomeno. Infatti si può affermare che, anche i
veicoli più veloci costruiti finora dall'uomo, si muovono sempre
nell'universo delle basse velocità, per il quale le leggi della
meccanica newtoniana sono perfettamente valide come approssimazioni
più che accettabili di quelle della meccanica relativistica, mentre
gli unici corpi fisici che raggiungono velocità comparabili a quelle
della luce sono le particelle subatomiche, per mezzo delle quali
l'effetto einsteniano di deformazione temporale è già stato ampiamente
dimostrato.
Questo fenomeno ancora non ci spiega, né ci autorizza a pensare ai
viaggi nel tempo come a una cosa plausibile, ma contribuisce anch'esso
a farci capire che il tempo non è un'entità fissa e immutabile,
esterna all'universo come ritenuto dalla meccanica classica, ma è
qualcosa di ben più complesso e di più strettamente collegato al
tessuto della realtà che ci circonda, qualcosa che può cambiare ed
essere in un certo senso modellato. E questo, per ora, è
sufficiente a farci ben sperare, benché Einstein, su questo punto, sia
stato assai categorico. Del resto è assai difficile prendersi la briga
di smentire un principio assolutamente fondamentale come quello di
causa-effetto...
L'entropia cresce di mattina
Non è colpa del sonno, né del lugubre pensiero della giornata di
lavoro che ci si prospetta davanti, a farci dare per scontato che una
volta uniti l'uno all'altro, caffè e latte siano inseparabili. Lo
sappiamo bene anche di pomeriggio che una volta versati, amen, è
andata. Non si può più tornare indietro. Nessuno ci potrà ridare il
caffè e il latte divisi com'erano prima. Ma la cosa peggiore, alla
quale nemmeno i fisici teorici in pigiama badano, è che a seguito di
quel gesto semplice di versare il caffè dentro la tazza con il latte
caldo, facciamo aumentare l'entropia dell'intero universo. Non c'è da
preoccuparsi beninteso, non è grave, tuttavia è così! Fin dalla sua
scoperta, la Seconda Legge della Termodinamica ha sancito l'esistenza
dell'entropia come funzione in grado di quantificare i processi non
reversibili e il disordine al quale tendono tali processi,
formalizzando fisicamente proprio i principi fondamentali di causa-effetto
e di irreversibilità. E la storiella del caffelatte è proprio uno
degli infiniti tipici esempi dell'irreversibilità con la quale
conviviamo giornalmente, e che dà un "senso" al nostro universo. Causa,
effetto e irreversibilità sono infatti le tre parole che meglio
descrivono la caratteristica a senso unico della realtà che ci
circonda, dove tutto sembra essere orientato sempre in una
direzione precisa, dove le cause precedono sempre gli effetti,
e il tempo scorre sempre in un unico verso. Ma siamo davvero
sicuri che sia sempre così?
Se ad esempio prendiamo due camere chiuse, una contenente una certa
quantità di idrogeno e l'altra vuota, e le mettiamo in contatto con un
tubo sottile, una certa quantità di molecole di idrogeno passerà da un
contenitore all'altro a seconda dei parametri termodinamici del
sistema (volume, pressione, temperatura). A prima vista anche questo
processo ci sembra del tutto irreversibile, perché le molecole che
hanno pervaso il secondo contenitore non torneranno mai spontaneamente
nel primo, come le molecole del caffè e del latte non si separeranno
mai spontaneamente nella nostra tazza, anche perché ciò
significherebbe una diminuzione dell'entropia e un'apparente
contravvenzione alla Seconda Legge della Termodinamica. Henri Poincaré
dimostrò invece in maniera rigorosa che per le molecole dei gas ciò
non è vero, e che esistono delle "recursioni" ovvero dei lunghissimi
cicli al termine dei quali le molecole si ritroveranno nello stato
iniziale. In altre parole, l'entropia molto probabilmente continuerà
ad aumentere, ma prima o poi necessariamente dovrà diminuire
per permettere il ritorno alle condizioni di partenza. Si noti
tuttavia che i cicli postulati da Poincaré sono davvero enormemente
lunghi, dell'ordine dei 10N secondi, dove N è il numero
delle molecole del sistema che si sta considerando (si pensi che un
volume di soli 40 dm3 d'aria avrebbe un ciclo di circa 1024
secondi, che è il numero di molecole contenute in tale volume, mentre
l'età dell'universo è di soli 1017 secondi!). E' un po'
come supporre di continuare a scuotere a caso la scatola di un puzzle,
sperando che i pezzi vadano tutti da soli al loro posto e l'immagine
si formi da sé. Allo stesso modo, non c'è niente che impedisce alle
molecole d'idrogeno nei due nostri contenitori collegati di tornare
tutte quante nel primo contenitore come nella condizione iniziale.
Solo che a tale situazione, sebbene sia perfettamente possibile come
quella del puzzle, compete una bassissima probabilità di accadere, e
quindi è necessario attendere un tempo estremamente lungo prima di
osservare il verificarsi di tale evento.
E per il tempo, allora? Non potrebbe essere che, anche nel caso del
tempo esiste un verso privilegiato solo perché è assai più probabile
di quello opposto?
Il ritardo delle onde
Le equazioni di Maxwell sono le relazioni tramite le quali vengono
descritti i fenomeni di propagazione delle onde elettromagnetiche.
Esse sono ritenute all'unanimità fondamentali per la comprensione di
gran parte dei fenomeni fisici legati legati all'elettricità e al
magnetismo, e comprendono in pratica i principi di tutti i dispositivi
elettromagnetici tra cui, tanto per citarne solo alcuni, i motori
elettrici, le antenne, il radar, la radio, la televisione e il forno a
microonde. Magnificando l'importanza delle equazioni di Maxwell, il
fisico Ludwig Boltzmann citò addirittura un verso di
Goethe: "E' stato Dio a scrivere questi versi...", mentre in tempi più
recenti il fisico J. R. Pierce in un suo libro
scrisse: "Per chiunque sia motivato da qualcosa che va al di là dello
strettamente pratico, vale la pena di capire le equazioni di Maxwell
semplicemente per il bene della sua anima". Eppure, in mezzo a tanta
grandezza, perfezione e rispetto, c'è una cosa sulla quale le quattro
decantate equazioni di Maxwell paradossalmente glissano: il tempo.
Come afferma Paul Davies, fisico e divulgatore
inglese, in I Misteri del Tempo (ved. bibliog.), "noi diamo
per scontato che, quando una stazione radio trasmette un segnale, lo
riceviamo nel nostro apparecchio di casa dopo che questo è
stato emesso dal trasmettitore. Il ritardo non è grande [...] quindi
normalmente non ce ne accorgiamo. Ma in una conversazione telefonica
trasmessa via satellite può esservi un ritardo di tempo apprezzabile.
Ad ogni modo, il punto è che non sentiamo mai il segnale radio
prima che venga inviato. Vi chiederete: perché dovremmo?"
All'origine della perplessità di Davies c'è il fatto che nelle
equazioni di Maxwell non c'è nessuna distinzione tra passato e futuro,
per cui è perfettamente ammissibile che le onde viaggino sia in avanti
(onde ritardate) che indietro nel tempo (onde anticipate). Ovviamente
l'esperienza ci dice che le onde non sono mai anticipate, e una volta
di più sembra che abbiamo trovato una predilezione per una determinata
freccia del tempo nell'universo. Questo significica che sono le
equazioni a dover essere ritoccate, oppure c'è qualcos'altro?
Einstein sosteneva che le leggi dell'elettromagnetismo dovevano essere
simmetriche rispetto al tempo e, in totale analogia con i casi che
abbiamo visto poc'anzi a proposito delle molecole dei gas,
l'asimmetria delle onde che viaggiano in avanti del tempo deriverebbe
essenzialmente da questioni statistiche, ovvero le onde ritardate
hanno una probabilità estremamente più elevata di manifestarsi
rispetto a quelle anticipate. Ma questa è solo un'opinione, e il
motivo per cui le onde si comportano in questo modo e l'origine ultima
del verso del tempo sono misteri affascinanti ancora molto al di là
dall'essere sviscerati. Senza contare il fatto che, a complicare la
vita dei fisici, ci si sono messe anche particelle che sembrano
sfidare la freccia del tempo e procedere a ritroso.
Gambero temporale
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Paul Dirac |
Era il 1930 quando Paul Dirac introdusse il
concetto di antimateria partendo dal presupposto di vedere come si
sarebbero comportate le particelle subatomiche, ad esempio un
elettrone, a una velocità prossima a quella della luce. Tuttavia i
suoi studi si spinsero molto al di là delle previsioni e quello a cui
pervennero aveva qualcosa di sconcertante. Le equazioni formulate da
Dirac pervenivano infatti a conclusioni speculari e la soluzione che
descriveva un elettrone era accoppiata a un'altra, che descriveva una
particella sconosciuta, la quale sarebbe dovuta essere identica
all'elettrone ma con proprietà invertite. Il positone. Da
allora ci vollero solo pochi anni prima che tali particelle venissero
effettivamente scoperte tra i raggi cosmici, e ben presto si provò
l'esistenza di un anti-particella per ogni tipo di particella
conosciuta. Oggi, settant'anni più tardi, i positoni sono piuttosto
facili da produrre in laboratorio, ed è sufficiente che un fotone
gamma incontri un atomo perché si produca una coppia elettrone-positone.
Tuttavia, se l'elettrone nel nostro universo ha una vita pressoché
stabile, non si può dire altrettanto del positone, il quale non appena
ha la sventura di incontrare un suo gemello negativo, fa annichilire
istantaneamente la coppia di particelle, nell'inversione del processo
che l'aveva creata, e dunque restituendo un fotone gamma.
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Fig. 1
Diagramma di Feynmann. Il processo di creazione-annichilimento
della coppia elettrone-positone può essere letto sia come grafico
spazio-tempo oppure, seguendo le frecce verdi, come "linea di
universo" di un'unica particella che torna indietro nel tempo
dall'istante B all'istante A. |
Già di per sé il fenomeno appena descritto ha qualcosa di
profondamente affascinante, ma Wheeler e
Feynmann, due tra le più brillanti menti della fisica del
dopoguerra, lo spiegarono avanzando un'ipotesi a suo modo
assolutamente sconvolgente. Dunque rivediamo un attimo tutto il
processo aiutandoci con il diagramma (S,t) illustrato in fig. 1.
Seguendo l'asse temporale in direzione crescente, all'inizio un fotone
(fB) incide un atomo all'istante B e produce un elettrone
(e2) e un positone (p) che si suppone vadano ognuno per la sua strada,
uno a destra e l'altro a sinistra. Quando poi il positone all'istante
A incontra un altro elettrone (e1), le due particelle si annichilano
producendo un fotone (fA). Ebbene, secondo l'audace ipotesi
di Feynmann, l'elettrone e1, il protone p e l'elettrone e2 sono tutti
e tre la stessa particella, dove il positone p è il nostro elettrone
che si muove indietro nel tempo! Come viene evidenziato sempre in fig.
1 dalle frecce verdi, per l'audace fisico americano si può considerare
che la particella segua una particolare "linea di universo" in cui
nella sua forma originale e1 cede un fotone fB all'istante
B e si trasforma in positone p, il quale procede a ritroso nel tempo
finché in A non assorbe un fotone fA, ritrasformandosi
nell'elettrone e2 che riprende a procedere di nuovo in avanti nel
tempo. Tra i due istanti B e A, dunque, la particella esisterebbe
contemporaneamente tre volte! Ma c'è di più. Secondo il suo socio
Wheeler, tutti gli elettroni dell'universo sarebbero in realtà
un'unica particella che semplicemente saltella avanti e indietro nel
tempo! Così, l'intero universo sarebbe composto da questo solo
elettrone, e anche da un solo protone e un solo neutrone ecc.,
osservati un'innumerevole quantità di volte. L'ipotesi spiegherebbe
molto bene perché tutti gli elettroni sono identici tra loro, ma
implicherebbe anche che l'universo dovrebbe consistere metà di materia
e metà di antimateria. Quest'ultima però non è ancora stata trovata, e
ciò, in mancanza di prove contrarie, ci porta a presumere una netta
predominanza in natura degli elettroni sui positoni, facendo sollevare
forti dubbi sulla teoria di Wheeler.
L'asimmetria che abbiamo appena osservato, però, ci porta a riflettere
nuovamente sulla questione della freccia del tempo, e ci suggerisce
che forse, per qualche ragione intrinseca ai primissimi istanti del
Big Bang, le leggi della natura potrebbero essere anch'esse,
esattamente come la materia, intrinsecamente asimmetriche rispetto al
tempo. Dobbiamo ammettere che a noi, animati dall'intento di spiegare
la plausibilità del viaggio nel tempo, quest'osservazione non fa
particolarmente piacere, perché potrebbe significare che la natura non
ci lascia aperta alcuna possibilità. Ma vedremo tra poco che non è
così. Tuttavia, prima di giungere a scoprire qual è la chiave che ci
serve per schiudere la porta del viaggio nel tempo, vale la pena di
prendere in considerazione un'altra importante non simmetria, una
proprietà del cosmo che gli scienziati hanno dimostrato e che è ormai
universalmente accettata: l'espansione dell'universo.
E se davvero come molti ritengono, l'espansione dell'universo fosse
strettamente collegata alla freccia del tempo, significherebbe che se
un giorno l'universo smettesse di espandersi e cominciasse a contrarsi,
il tempo, analogamente, dovrebbe invertirsi. Con tutte le (apparentemente)
assurde conseguenze del caso.
opmet
Qualsiasi concezione ciclica implica per necessità un "tornare
indietro", un riavvolgimento del nastro, un processo a ritroso
attraverso il quale si riesca a ripassare per le condizioni di
partenza, per poi ripartire in direzione opposta. Malgrado ciò,
nell'ottica dei rapporti causa-effetto e rispetto al modo di pensare
tipico della mente umana, l'idea di un tempo che scorre all'indietro
risulta profondamente assurdo. Una realtà con gli effetti che
precedono le cause, in cui i bicchieri rotti saltano dal pavimento per
ricomporsi sul tavolo, dove il caffelatte si scinde spontaneamente nei
suoi componenti che ritornano da soli nei loro contenitori e dove la
morte precede la nascita, appare priva di significato. Tanto più che
anche la memoria dovrebbe funzionare in maniera analoga e, a mano a
mano che il tempo torna indietro, dovrebbe essere lentamente svuotata
fino alla nascita, un po' come accade alla piccola Rachel in
Hyperion di Dan Simmons, in cui la ragazza,
misteriosamente mutata in seguito all'incontro con lo Shrike, viene
condannata a condurre una toccante esistenza a ritroso nel tempo fino
al momento della nascita.
Basandosi sulla Seconda Legge della Termodinamica, negli anni '60
l'astrofisico Thomas Gold propose una teoria di
questo tipo, dove la freccia nel tempo risiede essenzialmente
nell'emissione unidirezionale del calore dalle stelle calde verso il
cosmo freddo, il quale, espandendosi, non riesce mai a scaldarsi,
esattamente come se cercassimo di riempire d'acqua un barile che
diventa ad ogni istante più capiente. Seguendo il suo ragionamento,
Gold aggiunse che se fosse stato possibile isolare termodinamicamente
in maniera perfetta una stella come il Sole, negandogli qualsiasi
possibilità di cedere calore all'esterno, l'astro avrebbe presto
raggiunto un equilibrio tale da farlo restare indefinitamente in
quello stato per sempre, arrestando in questo modo la sua
freccia del tempo. Cionondimeno, nel caso dell'universo, quest'ipotesi
non è applicabile poiché il cosmo è in espansione, e sarebbe questo
dunque il motivo per cui la freccia del tempo viene mantenuta costante
in una direzione.
Supponendo però che l'universo un giorno decida davvero di iniziare a
contrarsi, come s'è detto ogni processo dovrebbe invertirsi e la
materia dovrebbe passare da uno stato disordinato a uno ordinato,
l'entropia diminuire, il calore fluire dai corpi freddi verso quelli
più caldi e, forse, tutta la materia si trasformerebbe in antimateria
e viceversa. Pur sapendo che è puramente accademico domandarsi cosa
succederebbe davvero in un caso del genere, giacché questo processo,
se mai si verificherà, avrà luogo tra miliardi e miliardi di anni e
per allora, pur con tutta la lungimiranza e la fiducia che possiamo
avere verso la nostra razza, difficilmente ci saranno esseri umani
sopravvissuti a testimoniarlo, viene da chiedersi se davvero, in caso
di contrazione dell'universo, ci sarà l'inversione del tempo. Ebbene
anche il celebre Stephen Hawking fu uno dei più
accesi sostenitori di quest'opinione, ma Don Page e
Raymond Laflamme, rispettivamente collega e allievo
dell'eminente scienziato americano, dimostrarono che il collasso
dell'universo non è necessariamente speculare alla sua espansione ed
esiste almeno un modello di universo nel quale a seguito
dell'inversione dell'espansione non corrisponde l'inversione della
freccia del tempo. Per dovere di cronaca dobbiamo dire che Hawking fu
costretto a ricredersi e ammise pubblicamente di aver preso un
granchio colossale.
Ad ogni modo ci sono buone probabilità che non sia necessario
attendere il termine dell'espansione dell'universo per assistere (forse)
all'inversione della freccia del tempo, perché potrebbero esistere già
regioni dello spazio-tempo aventi frecce del tempo opposte, regioni
che, finalmente, potrebbero fare al caso nostro. E la responsabile di
queste inversioni temporali potrebbe essere insospettabilmente la
forza più comune e fondamentale, ancorché misteriosa, di tutto
l'universo. La gravità.
La geometria del tempo
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Fig. 2 Cono di
Minkowsky. Le regioni dello spazio-tempo sono rappresentate come
coni di luce passati e futuri. Il punto A definisce il "qui e
ora". E poiché la velocità della luce non può essere superata, un
oggetto non potrà mai uscire dal cono superiore, ovvero agire
causalmente su un evento che sta fuori del cono. Analogamente
nessun evento collocato nel cono inferiore può aver agito su di
lui. |
Tutto si basa sul presupposto che il tempo è una dimensione
dell'universo esattamente come lo sono le tre dimensioni dello spazio.
Fu Lagrange nel 1797 il primo a trattare il tempo
come una quarta coordinata spaziale, ovvero come una quarta dimensione
vera e propria. La teoria della relatività aveva poi confermato più
profondamente quella trattazione, presentando lo spazio e il tempo
come un unico continuum, chiamato spazio-tempo. Vale la pena
notare il fatto che già nel 1887, quando Wells scriveva il suo celebre
La Macchina del Tempo e quindi quasi vent'anni prima che
Einstein pubblicasse la relatività speciale, considerava già la realtà
composta da una geometria quadridimensionale. "[...] se il tempo è
realmente solo la quarta dimensione dello spazio [...]", affermava lo
scrittore, "perché non possiamo muoverci nel tempo, come ci muoviamo
nelle altre dimensioni dello spazio?" La logica era ineccepibile,
almeno finché non arrivò prima l'ipotesi, e poi la conferma, che la
velocità della luce era assoluta per tutti gli osservatori e non
poteva essere superata. Questo diede un duro colpo alle aspirazioni di
Wells, poiché come aveva ben estrapolato Minkowsky
con il suo diagramma detto appunto cono di Minkowsky (fig.
2), il futuro e il passato rimanevano inaccessibili e, per la teoria
della relatività ristretta, tanto i viaggi nel passato quanto quelli
nel futuro restavano vietati. L'avvento della relatività generale però
restituì a Wells (e a noi!) qualche speranza, perché in essa le
dimensioni dello spazio non erano più considerate euclidee, ovvero a
curvatura nulla come ipotizzato anche da Minkowsky, ma grazie alla
presenza della forza di gravità, lo spazio e quindi anche il tempo
assumevano traiettorie tanto più curve quanto più elevata era la
gravità, come i lati di un triangolo costruito su una superficie
sferica piuttosto che sopra un piano.
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Fig. 3 Esempio
di tipico diagramma cosiddetto "di immersione", che mostra come un
oggetto dotato di grande massa deforma lo spazio-tempo. |
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Fig. 4 Nessuno
ha mai fotografato un buco nero. Così dobbiamo affidarci a
rappresentazioni "artistiche" come questa. |
Ricostruendo allora il medesimo diagramma di Minkowsky, ma
considerandolo questa volta applicato a una geometria non euclidea
come, per esempio, una geometria cilindrica, Paul Davies ha dimostrato
che il cono di luce del passato può includere anche quello del futuro
e viceversa. Tutto dipende da quanto è pronunciata la curvatura del
continuum, ovvero da quanto è potente la forza di gravità che
distorce quella regione di spazio-tempo. Non basta ovviamente quella
esercitata dalla Terra, e nemmeno quella del Sole (fig.3). Ci vuole
una forza gravitazionale "infinitamente" grande, qualcosa che riesca a
distorcere e imprigionare anche quei raggi di luce che costituiscono i
limiti imposti dal cono di Minkowsky. Insomma, ci vuole un buco nero (fig.
4).
Ai margini dell'universo
Sono a buon diritto gli oggetti più affascinanti del cosmo, e il
motivo è semplice. I buchi neri sono limiti all'infinito, confini
mistici verso qualcosa che non è osservabile, e per questo misterioso,
vere e proprie sfide non solo alla fisica e alla scienza in generale,
ma al pensiero razionale e alla metafisica stessa. Stadio estremo
della vita di una stella avente una massa maggiore di circa tre volte
quella del Sole, il buco nero è il risultato finale dell'azione della
gravità, una volta che la stella ha esaurito il combustibile nucleare
la cui reazione forniva la forza che contrastava ed equilibrava
l'effetto attrattivo della gravità stessa. Una volta giunta in questa
situazione, l'intera enorme massa della stella viene costretta in uno
spazio sempre più piccolo e il raggio del corpo celeste diminuisce,
aumentando proporzionalmente densità e gravità. Tale processo
inarrestabile procede finché il raggio del corpo celeste non raggiunge
il limite del cosiddetto raggio di Schwarzschild, dal nome
dell'astronomo tedesco contemporaneo di Einstein che per primo scoprì
il fenomeno, sotto il quale il corpo esce dalla nostra
possibilità di osservazione e non se ne sa più niente. Per qualsiasi
corpo materiale esiste infatti un raggio teorico al di sotto del quale
l'oggetto in questione diventa un buco nero. In altre parole,
comprimendo la massa di qualsiasi corpo, è possibile fare in modo che
esso eserciti una gravità tale da far convergere su di sé anche la
luce e quindi si sottragga allo spazio fisico come noi lo conosciamo.
Tale raggio ad esempio vale 2.9 km per il Sole, 0.88 cm per la Terra e
2.4x10-52 cm per un protone, ma il punto è che per certe
stelle il fenomeno di collasso oltre il raggio di Schwarzschild è del
tutto naturale, mentre non si verifica spontaneamente per gli altri
oggetti dell'universo.
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Fig. 5 Altra
rappresentazione artistica, ma basata sulle osservazioni reali del
sistema binario SS433. Prima di cadere dentro un buco nero o una
stella di neutroni, la materia persa dalla stella gigante si
dispone secondo un anello di accrescimento intorno all'oggetto "pesante".
Si notano due emissioni di radiazioni dovute alla ionizzazione dei
gas che vengono espulse in opposte direzioni a un quarto della
velocità della luce. I colori differenti dei due getti evidenziano
il fenomeno dello spostamento delle frequenze delle lunghezze
d'onda della radiazione dovuta alla gravità. |
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Fig. 6 Il
diagramma di immersione di un buco nero è una versione limite di
quello già visto in Fig. 3, e viene rappresentato come un foro
nella struttura del continuum spazio-tempo. |
Ora, di buchi neri ne sono stati individuati almeno di quattro tipi
diversi a seconda della massa, della rotazione e della presenza di
carica elettrica, ma tutti hanno un'unica possente particolarità:
esercitare uno smisurato campo gravitazionale tale che ogni cosa viene
fagocitata e niente può uscirvi (anche se questo non è del tutto vero,
poiché ogni volta che della materia "cade" in un buco nero, esso
restituisce una certa quantità di energia all'universo sotto forma di
radiazione, fig. 5). Persino la luce, nel momento in cui oltrepassa il
confine critico chiamato suggestivamente "orizzonte degli eventi",
viene deviata dalla sua rotta e costretta a convergere dentro la
singolarità (fig. 6), il limite estremo posseduto da ogni buco nero
dove densità e curvatura spazio-temporale sono infiniti, dove le leggi
della fisica che conosciamo non valgono più e dal quale niente può
sfuggire. Ricordando quello cui abbiamo accennato prima, quando
abbiamo affermato che i buchi neri si sottraggono allo spazio,
non si deve pensare a questi oggetti come a corpi materiali simili a
pianeti o stelle, perché già verso la fine degli anni '50 fu scoperto
che la superficie di un buco nero non consiste di una barriera
propriamente fisica, ma è semplicemente un confine, un passaggio verso
una misteriosa regione del continuum spaziotemporale dalle
proprietà, come vedremo, alquanto bizzarre soprattutto proprio nei
confronti del tempo. Ma per scoprirle abbiamo bisogno di un
osservatore, qualcuno con una buona dose di coraggio, di curiosità e
di pazzia. E anche di poca voglia di vivere...
Verso l'orizzonte degli eventi
Supponiamo dunque che un astronauta dotato delle caratteristiche di
cui sopra si offra di esplorare un buco nero. Immaginiamo che abbia
lasciato l'astronave a distanza di sicurezza, dove l'intensità del
campo gravitazionale esercitato dal buco nero risulta trascurabile, e
che abbia preso accordi con il suo comandante in modo da trasmettersi
reciprocamente un segnale ogni secondo a partire dalla sua uscita
nello spazio che avviene alle 10:00:00. Ipotizziamo infine che
l'attraversamento dell'orizzonte degli eventi sia previsto esattamente
tre ore dopo, ovvero alle 13:00:00 in punto. L'astronauta si lascia
così andare in caduta libera verso il buco nero, inviando e ricevendo
regolarmente i bip, mentre la gravità via via aumenta al
diminuire della distanza dall'esotico corpo celeste. Ben presto sia il
comandante che l'astronauta cominceranno a notare un effetto
straordinario. L'incremento della gravità esercitata dal buco nero
dovuto all'avvicinamento, provoca infatti una distorsione del
continuum spazio-temporale sempre più pronunciata, e fa in modo
che il comandante riceva i segnali dell'astronauta a intervalli di
tempo sempre più distanti tra di loro e, in maniera del tutto analoga
e speculare, che l'astronauta registri l'arrivo dei segnali inviati
dall'astronave sempre più velocemente (si noti che, per ognuno dei due,
la frequenza del proprio segnale sarà sempre di 1 bip al
secondo). In pratica l'intenso campo gravitazionale dilata sempre di
più il tempo dell'astronauta, finché l'esploratore spaziale non
raggiunge l'orizzonte degli eventi, dove la deformazione temporale
tende all'infinito. Sono ormai le 12:59:59 e l'ultimo bip,
quello inviato proprio in corrispondenza del raggiungimento orizzonte
degli eventi, in realtà non giunge mai all'astronave, perché essa
dovrebbe attendere un tempo infinito per riceverlo.
E un fenomeno del tutto analogo accade anche alla luce che rivela la
posizione dell'astronauta e che, a mano a mano che egli si approssima
all'orizzonte degli eventi, impiega sempre più tempo a raggiungere
l'astronave. Il comandante osserverà allora la bianca tuta
dell'astronauta farsi sempre più rossa e rallentare progressivamente
fino ad arrestarsi proprio sull'orizzonte degli eventi, quando
contemporaneamente scomparirà dalla vista, essendo "caduta" in una
zona dalla quale la luce non può più emergere.
In questa situazione limite, pochi microsecondi per l'astronauta
corrispondono all'eternità per il comandante dell'astronave e se
l'astronauta potesse restare sospeso sull'orizzonte degli eventi,
aspettando di essere raggiunto dalla luce proveniente dall'esterno,
avrebbe la possibilità di assistere alla futura storia dell'universo.
Questo sfortunatamente non è possibile e, una volta varcato
l'orizzonte degli eventi, le cose per l'astronauta si fanno piuttosto...
pesanti!
Dentro il buco
I problemi di sopravvivenza per il nostro eroe sono causati
essenzialmente dall'elevata variazione della forza di gravità rispetto
alla distanza. In altre parole, poichè la forza di gravità varia in
maniera inversa rispetto al quadrato della distanza tra i centri delle
masse in gioco, una volta giunto in prossimità della singolarità, il
corpo dell'astronauta (supponendo per semplicità che egli cada "in
piedi" con le estremità inferiori dirette verso la singolarità) sarà
soggetto a forze gravitazionali molto diverse tra i piedi e la testa.
Pertanto, ad un certo punto, le sue estremità inferiori si troveranno
molto più vicine al centro della singolarità (e quindi soggette a
un'accelerazione maggiore) rispetto alla testa, e di conseguenza su di
esse verrà esercitata una forza gravitazionale molto maggiore. Per
questo motivo l'esploratore verrà "stirato" come uno spaghetto, e la
cosa non gli lascerà molto scampo. Malgrado ciò, nel caso in cui abbia
scelto oculatamente il buco nero in cui buttarsi, prendendone in
considerazione uno con una massa sufficentemente elevata, diciamo 100
milioni di volte il Sole in cui gli effetti mareali in corrispondenza
dell'orizzonte degli eventi sono maggiormente trascurabili,
l'astronauta avrà la possibilità di sopravvivere per qualche minuto
all'interno dell'orizzonte degli eventi (con una massa pari a 10
miliardi di volte quella del Sole, l'astronauta potrebbe viverci
addirittura un giorno intero!), potendo così dare un'occhiata alla
regione spazio-temporale che si trova "dall'altra parte" del buco nero.
Secondo alcune teorie, quello che potrebbe presentarsi alla vista
dell'osservatore sarebbe un "altro" universo, del tutto speculare al
nostro, dove però la freccia del tempo è invertita. Sfortunatamente al
nostro astronauta non sarà permesso accedervi, come nemmeno potrà
tornare nel suo universo, ma rimarrà semplicemente imbrigliato in
questa regione confusa dove le frecce del tempo si scontrano, e sarà
inesorabilmente condotto verso la singolarità nella quale si
dissolverà nel nulla senza tempo.
L'orologio del salmone
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Frank Tipler |
Si noti tuttavia che la soluzione che abbiamo prospettato poc'anzi,
cosiddetta dell'antimondo, è puramente matematica (come
peraltro l'ipotetica esperienza dell'astronauta), e vale solo nel caso
di buchi neri presenti nell'universo fin dalla sua origine. Per quelli
"ordinari", originati dalla morte delle stelle e quindi molto tempo
dopo la nascita dell'universo, che dovrebbero peraltro essere la
stragrande maggioranza se non la totalità, la soluzione viene
interrotta prima di giungere all'antimondo. E questo è il
motivo per cui le caratteristiche che sembravano finalmente consone a
ipotizzare un viaggio nel tempo, non possono essere utilizzate.
Nonostante ciò, nel 1980 Frank Tipler dimostrò di non
essere il tipo da lasciarsi scoraggiare e, apportando qualche
correzione a questa teoria, in un'intervista apparsa sulla rivista
francese Actuel (ed. it. Parto oggi e domani arrivo ieri,
su Frigidaire n. 10, 1981) affermò che viaggiare nel tempo era
possibile. "Immagini una calamita abbastanza potente", disse l'allora
giovane fisico americano riferendosi al diagramma di Minkowsky, "da
piegare il cono luminoso del futuro prima orizzontalmente e poi verso
il basso. All'interno del cono un osservatore avrebbe sempre
l'impressione di [...] scendere verso il futuro. In effetti, in questo
cono invertito, ripiomberebbe nel passato come se il fiume del tempo
risalisse alla sorgente". Ma Frank Tipler fece di più, riuscendo a
farsi pubblicare sulla prestigiosa Physical Review un articolo
sull'argomento. Il pezzo in questione, certamente una provocazione se
non un vero e proprio scandalo per i fisici più ortodossi, si
intitolava Rotating Cylinders and the possibility of Global Casual
Violation (Cilindri rotanti e la possibilità di una violazione
globale della causalità), e ispirò allo scrittore Larry
Niven un racconto sui viaggi nel tempo battezzato con il
medesimo titolo.
Questa è la ragione per cui, è forse proprio al fisico matematico
della Tulane University della Lousiana, che ad oggi dobbiamo il
maggiore contributo della scienza ufficiale a favore dei viaggi nel
tempo. Del resto non bisogna dimenticare che Tipler non solo disse che
il viaggio nel tempo era plausibile e che una macchina del tempo non
poteva essere che un buco nero artificiale, ma fornì anche una ricetta
per realizzarla.
Nella gola del verme
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Fig. 7
Diagramma di un cunicolo spazio-temporale. Un buco nero può essere
considerato anche una sorta di tunnel che connette due universi. |
"E' sufficiente una massa iperdensa in rapida rotazione su se
stessa, e i calcoli ci danno come miglior forma un cilindro lungo
cento chilometri, col diametro di venti, di 1014 grammi per
centimetro cubo (di densità), rotante sul suo asse alla metà della
velocità della luce". Secondo le indicazioni di Tipler, un oggetto di
questo tipo, chiamato anche wormhole (lett. buco verme o buco
di tarlo, più comunemente detto anche cunicolo, fig. 7)
riuscirebbe a curvare abbastanza il continuum spazio-tempo da
consentire uno spostamento temporale pur con qualche limitazione.
Innanzitutto la macchina stessa limiterebbe l'orizzonte del viaggio
nel senso che non si potrebbe andare nel passato prima della sua messa
in funzione, né nel futuro oltre il termine della sua esistenza, in
secondo luogo per adesso (e probabilmente ancora per molto tempo) è
impossibile fabbricare un oggetto avente una simile densità di materia,
e non si deve trascurare inoltre che la macchina consumerebbe
l'energia di un'intera stella. Per ottenere l'energia necessaria a far
funzionare un simile aggeggio, Tipler dice che "bisognerebbe coprire
l'intero pianeta Terra di pannelli solari, e in più aggiungere tutti i
reattori nucleari e tutte le riserve di petrolio conosciute". Per
finire bisogna considerare che un simile oggetto non potrebbe essere
installato sulla Terra, giacché non impiegherebbe molto a disintegrare
il pianeta, ragion per cui sarebbe di gran lunga consigliabile
sistemarlo nello spazio a un'adeguata distanza di sicurezza.
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Fig. 8 Il
cammino attraverso un cunicolo come questo, potrebbe condurre a
regioni di spazio e tempi diversi. |
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Fig. 9 Si
tratta in pratica dello stesso diagramma di Fig. 8. Il cunicolo è
a tutti gli effetti una scorciatoia nelle quattro dimensioni, e
questo principio può essere utilizzato per muoversi sia nello
spazio che nel tempo. |
A prescindere dalle palesi difficoltà tecniche, il concetto appena
visto di wormhole è comunque ritenuto fondamentale dal punto di vista
fisico nello studio della plausibilità scientifica dei viaggi nel
tempo, tanto che nella seconda metà degli anni '80, Carl Sagan
chiese l'aiuto di K.S. Thorne, una delle massime
autorità in relatività generale, proprio per studiare un modello di
cunicolo che il famoso astrofisico potesse utilizzare per la stesura
di un romanzo di fantascienza, quel Contact divenuto poi
celebre anche presso il pubblico di non appassionati grazie
all'omonimo film di qualche anno fa con Jodie Foster.
Si noti tuttavia che in Contact la singolarità viene utilizzata
per spostarsi in maniera istantanea attraverso grandissime distanze
nello spazio, e non nel tempo, e questo la dice lunga su quanto i
concetti siano assolutamente intercambiabili tra loro (figg. 8 e 9).
Macchine del tempo naturali?
Ad ogni buon conto, Thorne e il suo allievo Michael Morris,
con l'aiuto di un terzo scienziato Ulvi Yurtsever,
pervennero anch'essi alla plausibilità del viaggio nel tempo, con un
modello tanto simile a quello di Tipler, che anche nel loro caso la
macchina risultò parecchio complicata da realizzarsi. Si pensi che la
"gola" del cunicolo concepito da Thorne e soci avrebbe dovuto essere
ampia almeno un'unità astronomica, ovvero circa centocinquanta milioni
di chilometri e inoltre, per passarvi attraverso, sarebbe stato
necessario rinforzarla con un materiale ancora inesistente, in grado
però di resistere alla feroce morsa gravitazionale.
Ovviamente la realizzazione di un simile dispositivo è assolutamente
impossibile per le tecnologie di cui disponiamo oggi, e sembra
altamente improbabile che si possa mai riuscire a costruire e a
gestire una macchina di questo tipo. Ciononostante, alcune
caratteristiche dell'oggetto come la massa e soprattutto la rotazione,
del tutto paragonabili a quelle delle stelle pulsar più veloci,
suggeriscono la possibilità dell'esistenza nell'universo di macchine
del tempo naturali che forse, in un futuro più o meno remoto,
potrebbero essere trovate, studiate e utilizzate.
L'universo di Gödel
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Kurt Goedel |
Se gli studi di Tipler, Thorne e Morris degli anni '80 e '90
costituiscono, almeno fino ad ora, i contributi forse più pesanti allo
studio della teoria fisica del viaggio nel tempo, bisogna dire che
essi non furono però i primi a prendere sul serio dal punto di vista
fisico la possibilità di spostarsi nel tempo. Per quanto ne sappiamo,
la prima volta che il viaggio nel tempo ha ricevuto una rigorosa
dimostrazione matematica è avvenuta nel 1949.
Basandosi sulle equazioni della relatività generale, Kurt
Gödel, una delle menti più geniali che la matematica abbia
mai visto, concepì un modello di universo in rotazione perfettamente
in accordo con la teoria di Einstein, nel quale era "teoricamente
concepibile" viaggiare nel passato o comunque poterlo influenzare.
Questo perché Gödel dimostrò che in un universo in rotazione le
traiettorie di spazio-tempo, pur muovendosi costantemente verso il
loro futuro locale, possono arrivare ugualmente nel passato,
permettendo il viaggio nel tempo lungo traiettorie temporali chiuse.
L'intervento del matematico austriaco suscitò ovviamente grande
scalpore, e anche un certo imbarazzo, poiché la soluzione
rigorosamente corretta delle equazioni di Einstein non impediva in
alcun modo il classico paradosso temporale del viaggiatore che ritorna
nel proprio passato e incontra se stesso. Ma il vero problema, semmai,
era capire se le ipotesi di Gödel potevano essere applicate al nostro
universo, ovvero se esso stesso era rotante e, per la precisione, tale
da compiere un giro completo in 70 miliardi di anni. In questo caso,
il più breve cammino temporale chiuso si estenderebbe per circa 100
miliardi di anni luce, ovvero sarebbe questa la distanza da percorrere
per tornare indietro nel tempo. Ma anche su questo fronte però sembra
che non potremo andare da nessuna parte, essendo ormai assodato che il
nostro universo è finito e in espansione, mentre quello del modello di
Gödel è infinito e statico. Senza contare che il nostro universo
sarebbe anche troppo piccolo ("solo" 16 miliardi di anni luce di
raggio) per percorrere un "cappio temporale" così lungo. Insomma,
anche l'ipotesi di Gödel, peraltro fondamentale per aver inaugurato la
lunga processione di teorie sul viaggio nel tempo che sdarebbero sorte
nei decenni a venire, si è dissolta in una nuvola di fumo. Certo è che,
se non avessimo la pretesa di mandare noi stessi a spasso nel tempo,
potremmo forse accontentarci di riuscire più semplicemente a "comunicare"
con il nostro passato.
Tachione del mio cuore
E' opinione comune che la relatività di Einstein prescriva che
nessun oggetto possa muoversi più velocemente della luce. Questo è
vero, almeno in un certo senso, ma il concetto dev'essere considerato
in maniera più sottile e ampia. Ciò che in realtà vuole significare
l'ipotesi di Einstein, è che nessun oggetto che si sia mosso (almeno
una volta nella sua esistenza) più lentamente di quanto faccia la luce,
potrà mai superare la velocità della luce stessa. Quello su cui il
postulato invece non si pronuncia, è sull'esistenza di oggetti che
vanno comunemente sempre più veloci della luce, ovvero non
rallentano mai al di sotto del valore limite di 300.000 km/s. Secondo
questo approccio, la velocità della luce costituirebbe un confine tra
due realtà materiali del nostro universo, la prima in cui gli oggetti
si muovono tutti e sempre al di sotto della velocità della luce, la
seconda in cui la materia si muove sempre al di sopra della velocità
della luce. E la luce, in mezzo, a fare da muro invalicabile. Tenendo
presente questo contesto, nel 1967 l'americano Gerald Feinberg
coniò il termine tachione (in greco tachys sta per
veloce), per indicare tutte le particelle che si spostano sempre a
velocità ultraluce (dette anche ultraluminali), contrapposte ai
tardioni, quelle piu lente, come ad esempio i comuni protoni ed
elettroni, che però possono venire accelerate a velocità molto
prossime a quella della luce. I fotoni, i neutrini e molto
probabilmente i gravitoni, le particelle, tuttora ipotetiche
responsabili della forza di gravità, vengono invece denominate
luxoni per il fatto che sono capaci di muoversi esclusivamente
alla velocità della luce.
Dicevamo dunque dei tachioni. Come ha mirabilmente descritto
Gregory Benford nel suo Timescape (1980, Editrice
Nord, Cosmo Oro 1989), romanzo che tra l'altro gli valse il
prestigioso Premio Nebula, muovendosi più veloci della luce, tali
particelle si sposterebbero all'indietro nel tempo, dando così la
possibilità se non di muoverci nel tempo noi stessi, almeno di poter
trasmettere messaggi ai nostri antenati-progenitori utilizzando
qualcosa di simile a un codice Morse inviato per mezzo di un segnale
tachionico. Come nel caso del romanzo di Benford, un espediente del
genere potrebbe essere assai utile per avvertire i terrestri del
passato, di un pericolo annidato nel loro futuro come per esempio una
terribile catastrofe ecologica.
A prima vista questa soluzione avrebbe il grande pregio che, vietando
comunque agli esseri umani di viaggiare all'indietro nel tempo, ma
lasciando solo a particelle il compito di messaggeri dal futuro,
potrebbe evitare lo scontro con il paradosso e la violazione del
Principio di Causalità, secondo il quale le cause devono sempre
precedere gli effetti e che, nel caso di viaggi nel tempo, è il primo
argomento di attacco da parte degli scienziati e dei filosofi
maggiormente scettici. Ma in teoria non serve andare fisicamente nel
passato per violare il Principio di Causalità. Anche un semplice
messaggio inviato a vostro padre potrebbe essere sufficiente a fare in
modo che egli non sposi vostra madre, e che quindi impedisca la vostra
nascita.
Per questo, sono molti infatti coloro che postulano l'esistenza di una
"Congettura di protezione cronologica", ovvero di un meccanismo
intrinseco al nostro universo che protegge dal viaggio nel tempo e
garantisce l'impossibilità di violare il Principio di Causalità. E'
quasi superfluo dire che, ovviamente, c'è già chi ha pensato anche a
questo, e che per costoro il viaggio nel tempo potrebbe essere
effettuato con assoluta tranquillità senza alcun timore di violare la
causalità.
Biancaneve e il gatto
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Erwin
Schroedinger |
La maniera più semplice per evitare i paradossi che derivano dai
viaggi nel tempo è quella di ipotizzare che, in seguito ad un viaggio
temporale, l'universo si dirami. In altre parole, con il suo
spostamento temporale, il viaggiatore crea un universo alternativo,
ovvero "parallelo", rispetto a quello di partenza. Così, anche se, nel
più classico dei paradossi, andate nel passato e investite per sbaglio
vostra madre, non nascerete mai nell'universo che avete appena creato,
ma questo non modifica di una virgola l'andamento degli eventi
nell'universo da cui siete partiti. E nel momento in cui tornerete
nell'universo di partenza, qualsiasi atto voi abbiate compiuto
nell'altro universo, troverete la medesima, identica realtà che
avevate lasciato. Benché sembri un'idea alquanto bizzarra, più che
altro un escamotage logico per evitare la complicazione del
paradosso, esistono fisici accreditati che hanno preso molto sul serio
la teoria degli universi multipli. Uno per tutti, Erwin
Schrödinger, premio Nobel per la fisica nel 1933, illustrò
come funziona questo concetto escogitando un "esperimento mentale"
divenuto poi il prototipo degli esempi sugli universi paralleli su
base quantistica. Molti di voi ne avranno forse sentito parlare. Si
tratta del cosiddetto "gatto di Schrödinger".
Supponiamo di aver chiuso in una scatola un gatto, insieme con un po'
di materiale radioattivo, un contatore geiger e del veleno, collegati
da un meccanismo per cui se il materiale radioattivo decade, emette
delle particelle rilevate dal contatore geiger, il quale fa partire un
meccanismo che rovescia il veleno e uccide il gatto. Chiusa la scatola,
attendiamo fino ad avere una probabilità del 50% che sia avvenuto il
decadimento radioattivo. A questo punto, quello che dobbiamo
domandarci è se il gatto è vivo o morto prima che apriamo la
scatola. Dal nostro punto di vista vi è il 50% di probabilità che il
gatto sia vivo e altrettante che sia morto, ma per la fisica
quantistica eventi come il decadimento radioattivo diventano reali
solo se vengono osservati e ciò significa che, finché non apriamo la
scatola, la sostanza radioattiva esiste in una "sovrapposizione di
stati" ovvero una combinazione delle due possibilità decaduta e non-decaduta.
Lo stesso dunque deve valere anche per il gatto, per cui, finché non
guardiamo dentro la scatola, l'animale è sia vivo che morto! Secondo
questa teoria, pertanto, ogni volta che esistono più possibilità a
livello quantistico, l'universo le segue tutte, dividendosi in
altrettanti universi "paralleli". Nel nostro caso, se nel momento in
cui apriamo la scatola troviamo il gatto morto significa che esiste un
universo parallelo dove il gatto è vivo e viceversa. Ed entrambi i
gatti e i "noi stessi" che hanno effettuato l'esperimento non hanno
alcuna percezione delle rispettive controparti dell'universo parallelo.
La teoria è stata denominata dei "mondi paralleli" o anche dei "molti
mondi", e nell'ambito di questa concezione esisterebbero infiniti
universi di tutti i tipi, dove Biancaneve è esistita davvero, dove ci
sono ancora Adamo ed Eva nel giardino dell'Eden e dove la Seconda
Guerra Mondiale non è mai stata combattuta. Va detto però che, allo
stato attuale delle conoscenze, non è affatto chiaro in che misura le
teorie quantistiche abbiano qualche effetto, e in caso affermativo di
che tipo, a livello macroscopico, e quindi non è detto che ciò che
vale per le particelle subatomiche, valga allo stesso modo anche per
gli esseri umani.
Stringhe, palloni e tutto il resto
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A onor del vero, bisogna dire che esistono numerose altre teorie,
altre possibilità e altre soluzioni alle equazioni della relatività
generale di Einstein che consentono, almeno in teoria, il viaggio nel
tempo. Ad esempio esiste quella su quei misteriosi lunghissimi oggetti
aventi un diametro di 10-29 cm e una densità di 1022
g/cm, chiamati stringhe cosmiche. Secondo Richard Gott
dell'università di Princeton basterebbe prenderne due e metterle in
movimento in direzioni opposte ad altissima velocità, per creare
cammini temporali chiusi in grado di far viaggiare nel tempo. C'è poi
la suggestiva teoria dei crononi, particelle di tempo che
definiscono il più piccolo intervallo di tempo definibile (10-24
secondi, calcolati come il tempo che impiega la luce per attraversare
la distanza più piccola che si conosca) e che potrebbero essere
utilizzate per intervenire direttamente sul tempo. E ci sono infine
anche le ipotesi dei palloni quantistici di Aharonov e dei bizzarri
universi NUT, dalle iniziali degli scienziati Newton, Unti e Tamburino
che li hanno ipotizzati come una sorta di curiosa evoluzione degli
universi gödeliani, ma perfettamente in accordo con le leggi della
fisica.
Quelle che abbiamo visto un po' più nei dettagli, pur senza avere la
pretesa di essere esaustivi, ma solo di stuzzicare il fascino e la
curiosità verso un argomento che da tempo ormai la fantascienza ha
ceduto alla scienza, sono solo le teorie che ad oggi godono del
maggior credito presso gli scienziati. Teorie affascinanti che,
sebbene non ci permettano ancora di portarci sulle caravelle di
Cristoforo Colombo né tra la folla che fece crocifiggere Cristo,
contribuiscono a farci cogliere quanto il mistero del tempo sia
strettamente collegato alla comprensione dell'universo intero,
qualcosa che unisce l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo,
qualcosa che travalica la stessa fisica e coinvolge da vicino tutti
quanti noi come esseri umani inseriti in questa realtà straordinaria,
ancora piena di segreti da svelare.
Aspettando Emmett Brown
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Il mitico
flusso canalizzatore inventato da Emmett "Doc" Brown |
Ricordate lo scienziato schizzato e genialoide della trilogia di
Ritorno al Futuro? Ebbene, navigando sulle onde luminose di
Internet, alla ricerca di tutto ciò che faccia rispondere il motore di
ricerca al fatidico richiamo: "Time travel", non è difficile
imbattersi in persone di tutto il mondo che tentano di costruire
realmente una macchina del tempo (per non parlare di coloro che dicono
di esserci già riusciti!). Ma quello che sorprende maggiormente non
sono tanto le teorie spesso assolutamente strampalate, piuttosto il
fatto che di questi Emmett Brown fatti in casa, che illustrano con
convinzione le loro congetture e i loro esperimenti on-line, ce ne
sono più di quanti si possa sospettare. Un piccolo esercito di amanti
del bricolage cosmologico che, dandosi da fare dentro
scantinati umidi, illuminati dalla luce di una lampadina penzolante in
fondo a un filo, inseguono tutti un medesimo sogno. Comunque li
vogliamo chiamare: pazzi, visionari, fuori di testa, ossessionati,
frustrati, perditempo o esibizionisti, di sicuro essi incarnano con
artigianale ingenuità quella che potrebbe essere la più grande sfida
scientifico-tecnologica del prossimo millennio; e se, come
probabilmente si verificherà, non sarà uno di loro a inventare quel
flusso canalizzatore che potrebbe stravolgere le sorti dell'umanità,
c'è da scommettere che sarà di nuovo un uomo solo a cambiare la storia
ancora una volta. Da Newton a Einstein trascorsero duecento anni e
forse ci toccherà aspettare altrettanto. Ma del resto, visto che
quando l'uomo ha dimostrato che una cosa era plausibile ha sovente
finito per realizzarla, perché questo non dovrebbe valere anche per il
viaggio nel tempo? Insomma, i misteri sono ancora tanti e l'avventura
è solo all'inizio, ma il tempo è l'unica cosa di cui abbiamo bisogno,
e quello non ci manca di certo.
Bibliografia
La nascita del tempo, di Ilya Prigogine, Theoria 1988
Saggio sul tempo, di Norbert Elias, Il Mulino 1986
I misteri del tempo, di Paul Davies, Oscar Saggi Mondadori 1996
Dal Big Bang ai buchi neri, di Stephen Hawking, Rizzoli 1988
Guida alla teoria della relatività, di Vittorio Silvestrini,
Editori Riuniti 1982
La scienza della fantascienza, di Renato Giovannoli,Bompiani
1991
Costruire la macchina del tempo, di John Gribbin, Aporie 1996
Tempo -- Guida per viaggiatori, di Clifford A. Pickover,
Raffaello Cortina Editore 1999
Fisica (vol. 2), di D. Halliday e R. Resnick, Casa Editrice
Ambrosiana 1985
I mostri del cielo, di P. Maffei, Ed. Mondadori 1976