Viaggiare nel tempo è in assoluto la possibilità più affascinante 
          che sia stata dimostrata dalla fisica dell'ultimo mezzo secolo. Ancora 
          una volta la scienza ha incalzato la fantascienza, e ciò che un tempo 
          sembrava una pura speculazionedell'immaginazione, ha definitivamente 
          ricevuto l'appellativo di "possibile". Tra relatività generale e buchi 
          neri rotanti, cunicoli spazio-temporali e particelle ultraluminali, ci 
          siamo documentati e siamo andati a vedere di capirci qualcosa.
          "Se non mi chiedono che cos'è il tempo, lo so", disse una volta un 
          vecchio saggio. "Ma se me lo chiedono, non lo so più". La frase, senza 
          dubbio assai suggestiva, è in realtà da attribuire a Norbert Elias, 
          sociologo e storico tedesco di grande fama, con le quali introduce il 
          suo Saggio sul Tempo (ved. bibliogr.), e la ragione per cui 
          abbiamo deciso di farle nostre è che, come spesso solo la saggezza 
          popolare riesce a fare, descrivono in maniera perfetta l'assoluta 
          enigmaticità e ambiguità del concetto di "tempo" rispetto al punto di 
          vista umano. Perché, a pensarci bene, il tempo è una cosa davvero 
          strana. E lo è tanto più per il fatto che tutti noi ci viviamo immersi 
          dentro naturalmente come pesci nell'oceano. Esso è parte integrante di 
          ciò che siamo, della materia che ci compone e del mondo che ci 
          circonda. Sperimentiamo quotidianamente le sue leggi inflessibili, e 
          il suo muto ticchettio ci è oltremodo familiare come l'orologio che 
          teniamo al polso. Eppure, riflettendoci, è tutt'altro che facile 
          attribuirgli una definizione che ci soddisfi. Il tempo ci sfugge. Il 
          tempo ci elude... Si dice che per osservare un fenomeno bisogna porsi 
          all'esterno di esso, e con il tempo non possiamo farlo, perché siamo 
          come Pinocchio nella balena. Ne possiamo cogliere l'essenza, intuirlo, 
          avvertirlo, ma qualsiasi tentativo facciamo di circoscriverlo ci 
          spiazza al punto che verrebbe quasi da chiedersi se il tempo non sia 
          una nostra invenzione e se esisterebbe anche senza l'uomo. Il problema 
          non è da poco, se si considera che volendo provare a viaggiarci, 
          dovremmo almeno capire di che cosa si tratta, ovvero capire dove (o 
          quando) vogliamo andare.
          Il tempo è "l'inarrestabile trascorrere delle cose in una successione 
          illimitata di istanti". Questa è la definizione che ne dà il 
          dizionario della lingua italiana Zingarelli, ma purtroppo anch'essa 
          non è esauriente, semplicemente perché non è una definizione, 
          bensì una tautologia. Essa parla infatti di successione di "istanti", 
          ma se sul medesimo dizionario andiamo a vedere la definizione di "istante" 
          scopriamo che è un "momento brevissimo di tempo". E pertanto si 
          potrebbe affermare che il tempo è una successione illimitata di 
          momenti brevissimi di tempo! Per cui, a questo punto, dopo non essere 
          riusciti a trattenerci dal buttare il suddetto dizionario dalla 
          finestra, prima di procedere sarà opportuno cercare di capire un po' 
          meglio quale accidenti è il terreno del nostro viaggio. 
          La creazione del tempo
          
            
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              | Londra 1955. 
              Uno dei primi orologi atomici basati sul principio 
              dell'oscillazione dell'isotopo di Cesio 133. | 
            
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          Dopo essere stato teletrasportato dall'orbita standard direttamente 
          nella stanza piena di quadranti, fili e tubi, alla vista di quel 
          misterioso cilindro lungo circa tre metri, il signor Spock avrebbe 
          certamente alzato un sopracciglio e con il suo immancabile aplomb 
          avrebbe esclamato: "Interessante!". Malgrado ciò, uno scienziato del 
          suo calibro non ci avrebbe impiegato molto a rendersi conto di che 
          cosa si trattava, mentre per noi, se non ce lo dicesse la targa che 
          c'è appiccicata lì davanti, sarebbe un po' più complicato capire che 
          quel coso, adagiato in una complessa struttura d'acciaio, è 
          il tempo. Il tempo terrestre, beninteso, l'orologio standard 
          sul quale tutti gli orologi planetari direttamente o indirettamente 
          vengono sincronizzati. Ce ne sono numerosi sul nostro pianeta di 
          orologi atomici al cesio (isotopo 133), e di vari modelli, ma quello 
          conservato a Bonn pare sia il più preciso, con buona pace degli 
          svizzeri!
          E' dal 1967 che la tecnologia ha mandato in pensione la vecchia e 
          imprecisa definizione di "secondo" come 86400a parte del 
          giorno terrestre, a beneficio di un multiplo delle oscillazioni della 
          radiazione emessa dall'atomo di CS133, per la 
          precisione 9.192.631.770 di volte. Per ironia della sorte, e con 
          grande fortuna dei linguisti, quest'approccio ha finito per confermare 
          la definizione di tempo del nostro dizionario, ovvero una sequenza 
          precisa di istanti temporali definiti. Tuttavia, come si capisce 
          facilmente, il secondo, comunque lo si voglia definire, è soltanto una 
          convenzione basata tanto sulla periodicità della radiazione, quanto su 
          una ben determinata frazione del giorno terrestre. Questo è 
          semplicemente il modo più ragionevole di misurare il tempo del pianeta 
          Terra, ma non è il "tempo". Per avere una prima descrizione 
          soddisfacente di ciò che è il tempo, dobbiamo quasi 
          paradossalmente spingerci indietro nel tempo fino all'epoca di 
          Aristotele. 
          Il tempo delle mele
          
            
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              | Aristotele | 
            
          "Il tempo è movimento". La definizione espressa dal grande filosofo 
          greco è semplice ma efficace, in quanto introduce il concetto di "cambiamento" 
          dello stato delle cose, che poi è a tutti gli effetti il solo fattore 
          che riveli ai sensi il trascorrere del tempo e quindi l'esistenza del 
          tempo stesso. Va detto che, a questo stadio del pensiero e della 
          conoscenza umana, il "tempo" non era ancora considerato un'entità 
          assoluta, ma solo una misura della mutevolezza della realtà e tanto 
          bastava, almeno finché la matematica non cominciò a essere applicata 
          per descrivere il mondo reale, creando in tal modo la fisica. Si 
          dovette attendere fino al medioevo per avere una prima astrazione 
          assoluta del tempo, e fino alla nascita della scienza moderna con
          Galileo, perché il tempo venisse considerato come una 
          quantità misurabile essenziale nell'attività ordinata del cosmo. 
          Intorno al 1700 fu poi Isaac Newton che formalizzò e 
          matematicizzò definitivamente il concetto, con la sua famosa 
          asserzione: "Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua 
          natura senza relazione ed alcunché di esterno, scorre uniformemente". 
          Per la prima volta grazie a Newton il mondo divenne perfettamente 
          prevedibile grazie alla matematica, e il tempo era soltanto uno dei 
          parametri essenziali per comprendere la realtà. I corpi materiali 
          percorrevano percorsi prevedibili, soggetti a rigorose leggi fisiche e 
          matematiche che facevano dell'universo un ciclopico meccanismo ad 
          orologeria.
          
            
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              | Galileo | 
            
          A prescindere dal determinismo esasperato che questa visione del 
          mondo suscitò all'epoca, l'approccio del matematico inglese costituì 
          tuttavia un passo in avanti epocale nell'ambito della comprensione 
          dell'universo, perché sancì definitivamente quello che Galileo aveva 
          cominciato, affibbiando definitivamente al tempo un ruolo fondamentale 
          nella descrizione della realtà fisica. Ma la visione di Newton, così 
          perfetta per spiegare i meccanismi di tutti i giorni, cominciò ad 
          andare in crisi quando vennero alla luce i fenomeni elettrici ed 
          elettromagnetici. L'impianto newtoniano, che pareva così solido, stava 
          per crollare. Era solo questione di tempo. 
          La relatività del tempo
          Nel 1905, un appena ventiseienne impiegato dell'ufficio brevetti di 
          Berna con la passione della fisica di nome Albert Einstein, 
          postulò che la velocità della luce (i famigerati 300.000 km/s, per 
          l'esattezza 299.792,4574 km/s) non era superabile da alcun oggetto 
          fisico. L'affermazione si rivelò sufficiente a innescare la fine della 
          fisica di stampo newtoniano, e la teoria della relatività speciale o 
          ristretta, resa pubblica quello stesso anno, aprì le porte a una 
          concezione totalmente rivoluzionata della realtà, inaugurando quello 
          che, con la pubblicazione avvenuta undici anni più tardi della più 
          complessa teoria della relatività generale, avrebbe rappresentato uno 
          dei più grandi progressi della storia del pensiero umano. Alla base di 
          tutto c'era però quella tanto più apparentemente semplice, quanto più 
          geniale affermazione sull'invalicabilità della velocità della luce, 
          alla quale si aggiungeva un corollario fondamentale, ovvero che la 
          luce stessa aveva una velocità fissa, indipendente dal moto della 
          sorgente o dell'osservatore.
 
          
            
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              | Albert 
              Einstein | 
            
          Il concetto è molto più semplice di quanto non possa sembrare a 
          prima vista. Poniamo che Newton sia fermo al margine di una ferrovia, 
          mentre Einstein se ne stia su un treno in moto sulla medesima ferrovia 
          alla velocità di 50 km/h. Se Einstein fosse seduto, e quindi immobile, 
          nel suo scompartimento, Newton se lo vedrebbe passare davanti alla 
          velocità di 50 km/h, mentre se Einstein si trovasse sul tetto del 
          treno e corresse nella stessa direzione delle carrozze alla velocità 
          di 10 km/h, per l'osservatore-Newton il collega si sposterebbe a 
          50+10=60 km/h. E fin qui le due teorie, quella di Einstein e quella di 
          Newton, sono in perfetto accordo: i due riferimenti, essendo in moto 
          relativo uno rispetto all'altro, hanno una percezione diversa del 
          movimento e per stabilire le velocità con le quali ciascuno dei due 
          vede l'altro è sufficiente usare la semplice legge di composizione 
          delle velocità. Supponiamo ora che, nella seconda situazione sopra 
          descritta, quasi per fare un dispetto a Newton, Einstein abbia preso 
          in mano una torcia e proietti un fascio di luce in una direzione, ad 
          esempio in quella del moto del treno. Secondo la meccanica newtoniana, 
          fermo al margine della ferrovia Newton dovrebbe vedere la luce 
          spostarsi alla velocità complessiva di circa 300.000 km/s (velocità 
          della luce) + 50 km/h (velocità del treno) + 10 km/h (velocità di 
          Einstein che corre sul treno), mentre per Einstein, solidale con la 
          fonte luminosa, la luce si sposterebbe sempre a 300.000 km/s. Ebbene 
          questo non succede! Sia per Einstein che per Newton, la velocità della 
          luce è la medesima. Il moto della sorgente di luce non ha importanza: 
          per qualsiasi osservatore la velocità della luce è sempre la 
          stessa. La cosa più straordinaria è che, anche se Einstein salisse 
          sull'Enterprise e si muovesse a 200.000 km/s, i raggi di luce emessi 
          dall'astronave continuerebbero a muoversi per tutti gli osservatori 
          dell'universo ancora alla stessa velocità di 300.000 km/s.
 
          
            
              |  | 
  | 
            
              | Isaac Newton | 
            
          Questo, a pensarci bene, ha tutta l'aria di un paradosso, perché 
          nel caso del moto rettilineo uniforme come lo abbiamo considerato, la 
          velocità corrisponde allo spazio percorso nell'unità di tempo (v=S/t), 
          ed esiste soltanto un modo affinché la velocità della luce possa 
          rimanere identica per qualsiasi osservatore dell'universo, di 
          qualunque moto esso si muova, ovvero solo se le distanze "S" e gli 
          intervalli di tempo "t" risultano in una certa misura differenti 
          per i vari osservatori, a seconda delle loro condizioni di moto.
          Per la prima volta dunque nel 1905, il tempo non è più un assoluto, 
          non scorre più uniforme e indipendente, con un ritmo costante per 
          tutti gli osservatori dell'universo come considerava Newton, ma 
          dipende dalla velocità con cui gli osservatori si muovono. Anzi, come 
          mostrano le Trasformazioni di Lorenz, più la velocità di spostamento è 
          prossima a quella della luce, più il tempo "rallenta", fino 
          all'approssimarsi del limite non raggiungibile costituito dalla 
          velocità della luce stessa. Se un qualsiasi osservatore riuscisse per 
          assurdo a eguagliarla, il "suo" tempo risulterebbe fermo. L'avvio alla 
          relatività ormai era stato dato e per i gemelli fu l'inizio di 
          un'epoca di paradossi. 
          Tempo soggettivo
          E' certamente uno dei più celebri esempi conosciuti nel campo della 
          fisica, ma vale ugualmente la pena richiamarlo, casomai qualcuno non 
          ricordasse esattamente i termini della questione. Supponiamo di avere 
          due gemelli che, per comodità, chiameremo d'ora in avanti Silvio e 
          Luigi (spiritosone... N.d.R.). Ora ipotizziamo che, mentre 
          Silvio se ne sta tranquillamente sulla Terra, Luigi intraprenda un 
          lungo viaggio interplanetario a una velocità prossima a quella della 
          luce verso una stella distante 10 anni-luce. Se la sua astronave si 
          muovesse a 200.000 km/s, per la meccanica newtoniana Luigi 
          impiegherebbe 15 anni per giungere a destinazione e altri 15 per 
          tornare. E, trascurando i cambi di direzione, accelerazioni e 
          decelerazioni, e tenendo in considerazione solo il moto rettilineo 
          uniforme, dalla partenza di Luigi per Silvio saranno effettivamente 
          trascorsi 30 anni. Tuttavia, a causa della deformazione temporale, per 
          Luigi ne saranno invece trascorsi circa solo 22! Come previsto dalla 
          relatività speciale, l'elevata velocità di spostamento di uno dei due 
          osservatori ha fatto fluire il tempo in maniera diversa. Paradosso? A 
          prima vista sì, ma è un errore chiamare quest'effetto con il nome di "paradosso 
          dei gemelli", perché non si tratta affatto di un paradosso, bensì di 
          un effetto fisico preciso, dimostrato e del tutto reale, anche se non 
          ancora sperimentabile, poiché ad oggi non abbiamo ancora a 
          disposizione veicoli che ci consentono di viaggiare ad una velocità 
          tale da apprezzare il fenomeno. Infatti si può affermare che, anche i 
          veicoli più veloci costruiti finora dall'uomo, si muovono sempre 
          nell'universo delle basse velocità, per il quale le leggi della 
          meccanica newtoniana sono perfettamente valide come approssimazioni 
          più che accettabili di quelle della meccanica relativistica, mentre 
          gli unici corpi fisici che raggiungono velocità comparabili a quelle 
          della luce sono le particelle subatomiche, per mezzo delle quali 
          l'effetto einsteniano di deformazione temporale è già stato ampiamente 
          dimostrato.
          Questo fenomeno ancora non ci spiega, né ci autorizza a pensare ai 
          viaggi nel tempo come a una cosa plausibile, ma contribuisce anch'esso 
          a farci capire che il tempo non è un'entità fissa e immutabile, 
          esterna all'universo come ritenuto dalla meccanica classica, ma è 
          qualcosa di ben più complesso e di più strettamente collegato al 
          tessuto della realtà che ci circonda, qualcosa che può cambiare ed 
          essere in un certo senso modellato. E questo, per ora, è 
          sufficiente a farci ben sperare, benché Einstein, su questo punto, sia 
          stato assai categorico. Del resto è assai difficile prendersi la briga 
          di smentire un principio assolutamente fondamentale come quello di 
          causa-effetto... 
          L'entropia cresce di mattina
          Non è colpa del sonno, né del lugubre pensiero della giornata di 
          lavoro che ci si prospetta davanti, a farci dare per scontato che una 
          volta uniti l'uno all'altro, caffè e latte siano inseparabili. Lo 
          sappiamo bene anche di pomeriggio che una volta versati, amen, è 
          andata. Non si può più tornare indietro. Nessuno ci potrà ridare il 
          caffè e il latte divisi com'erano prima. Ma la cosa peggiore, alla 
          quale nemmeno i fisici teorici in pigiama badano, è che a seguito di 
          quel gesto semplice di versare il caffè dentro la tazza con il latte 
          caldo, facciamo aumentare l'entropia dell'intero universo. Non c'è da 
          preoccuparsi beninteso, non è grave, tuttavia è così! Fin dalla sua 
          scoperta, la Seconda Legge della Termodinamica ha sancito l'esistenza 
          dell'entropia come funzione in grado di quantificare i processi non 
          reversibili e il disordine al quale tendono tali processi, 
          formalizzando fisicamente proprio i principi fondamentali di causa-effetto 
          e di irreversibilità. E la storiella del caffelatte è proprio uno 
          degli infiniti tipici esempi dell'irreversibilità con la quale 
          conviviamo giornalmente, e che dà un "senso" al nostro universo. Causa, 
          effetto e irreversibilità sono infatti le tre parole che meglio 
          descrivono la caratteristica a senso unico della realtà che ci 
          circonda, dove tutto sembra essere orientato sempre in una 
          direzione precisa, dove le cause precedono sempre gli effetti, 
          e il tempo scorre sempre in un unico verso. Ma siamo davvero 
          sicuri che sia sempre così?
          Se ad esempio prendiamo due camere chiuse, una contenente una certa 
          quantità di idrogeno e l'altra vuota, e le mettiamo in contatto con un 
          tubo sottile, una certa quantità di molecole di idrogeno passerà da un 
          contenitore all'altro a seconda dei parametri termodinamici del 
          sistema (volume, pressione, temperatura). A prima vista anche questo 
          processo ci sembra del tutto irreversibile, perché le molecole che 
          hanno pervaso il secondo contenitore non torneranno mai spontaneamente 
          nel primo, come le molecole del caffè e del latte non si separeranno 
          mai spontaneamente nella nostra tazza, anche perché ciò 
          significherebbe una diminuzione dell'entropia e un'apparente 
          contravvenzione alla Seconda Legge della Termodinamica. Henri Poincaré 
          dimostrò invece in maniera rigorosa che per le molecole dei gas ciò 
          non è vero, e che esistono delle "recursioni" ovvero dei lunghissimi 
          cicli al termine dei quali le molecole si ritroveranno nello stato 
          iniziale. In altre parole, l'entropia molto probabilmente continuerà 
          ad aumentere, ma prima o poi necessariamente dovrà diminuire 
          per permettere il ritorno alle condizioni di partenza. Si noti 
          tuttavia che i cicli postulati da Poincaré sono davvero enormemente 
          lunghi, dell'ordine dei 10N secondi, dove N è il numero 
          delle molecole del sistema che si sta considerando (si pensi che un 
          volume di soli 40 dm3 d'aria avrebbe un ciclo di circa 1024 
          secondi, che è il numero di molecole contenute in tale volume, mentre 
          l'età dell'universo è di soli 1017 secondi!). E' un po' 
          come supporre di continuare a scuotere a caso la scatola di un puzzle, 
          sperando che i pezzi vadano tutti da soli al loro posto e l'immagine 
          si formi da sé. Allo stesso modo, non c'è niente che impedisce alle 
          molecole d'idrogeno nei due nostri contenitori collegati di tornare 
          tutte quante nel primo contenitore come nella condizione iniziale. 
          Solo che a tale situazione, sebbene sia perfettamente possibile come 
          quella del puzzle, compete una bassissima probabilità di accadere, e 
          quindi è necessario attendere un tempo estremamente lungo prima di 
          osservare il verificarsi di tale evento.
          E per il tempo, allora? Non potrebbe essere che, anche nel caso del 
          tempo esiste un verso privilegiato solo perché è assai più probabile 
          di quello opposto? 
          Il ritardo delle onde
          Le equazioni di Maxwell sono le relazioni tramite le quali vengono 
          descritti i fenomeni di propagazione delle onde elettromagnetiche. 
          Esse sono ritenute all'unanimità fondamentali per la comprensione di 
          gran parte dei fenomeni fisici legati legati all'elettricità e al 
          magnetismo, e comprendono in pratica i principi di tutti i dispositivi 
          elettromagnetici tra cui, tanto per citarne solo alcuni, i motori 
          elettrici, le antenne, il radar, la radio, la televisione e il forno a 
          microonde. Magnificando l'importanza delle equazioni di Maxwell, il 
          fisico Ludwig Boltzmann citò addirittura un verso di 
          Goethe: "E' stato Dio a scrivere questi versi...", mentre in tempi più 
          recenti il fisico J. R. Pierce in un suo libro 
          scrisse: "Per chiunque sia motivato da qualcosa che va al di là dello 
          strettamente pratico, vale la pena di capire le equazioni di Maxwell 
          semplicemente per il bene della sua anima". Eppure, in mezzo a tanta 
          grandezza, perfezione e rispetto, c'è una cosa sulla quale le quattro 
          decantate equazioni di Maxwell paradossalmente glissano: il tempo. 
          Come afferma Paul Davies, fisico e divulgatore 
          inglese, in I Misteri del Tempo (ved. bibliog.), "noi diamo 
          per scontato che, quando una stazione radio trasmette un segnale, lo 
          riceviamo nel nostro apparecchio di casa dopo che questo è 
          stato emesso dal trasmettitore. Il ritardo non è grande [...] quindi 
          normalmente non ce ne accorgiamo. Ma in una conversazione telefonica 
          trasmessa via satellite può esservi un ritardo di tempo apprezzabile. 
          Ad ogni modo, il punto è che non sentiamo mai il segnale radio 
          prima che venga inviato. Vi chiederete: perché dovremmo?" 
          All'origine della perplessità di Davies c'è il fatto che nelle 
          equazioni di Maxwell non c'è nessuna distinzione tra passato e futuro, 
          per cui è perfettamente ammissibile che le onde viaggino sia in avanti 
          (onde ritardate) che indietro nel tempo (onde anticipate). Ovviamente 
          l'esperienza ci dice che le onde non sono mai anticipate, e una volta 
          di più sembra che abbiamo trovato una predilezione per una determinata 
          freccia del tempo nell'universo. Questo significica che sono le 
          equazioni a dover essere ritoccate, oppure c'è qualcos'altro?
          Einstein sosteneva che le leggi dell'elettromagnetismo dovevano essere 
          simmetriche rispetto al tempo e, in totale analogia con i casi che 
          abbiamo visto poc'anzi a proposito delle molecole dei gas, 
          l'asimmetria delle onde che viaggiano in avanti del tempo deriverebbe 
          essenzialmente da questioni statistiche, ovvero le onde ritardate 
          hanno una probabilità estremamente più elevata di manifestarsi 
          rispetto a quelle anticipate. Ma questa è solo un'opinione, e il 
          motivo per cui le onde si comportano in questo modo e l'origine ultima 
          del verso del tempo sono misteri affascinanti ancora molto al di là 
          dall'essere sviscerati. Senza contare il fatto che, a complicare la 
          vita dei fisici, ci si sono messe anche particelle che sembrano 
          sfidare la freccia del tempo e procedere a ritroso. 
          Gambero temporale
          
            
              |   |  | 
            
              | Paul Dirac | 
            
          Era il 1930 quando Paul Dirac introdusse il 
          concetto di antimateria partendo dal presupposto di vedere come si 
          sarebbero comportate le particelle subatomiche, ad esempio un 
          elettrone, a una velocità prossima a quella della luce. Tuttavia i 
          suoi studi si spinsero molto al di là delle previsioni e quello a cui 
          pervennero aveva qualcosa di sconcertante. Le equazioni formulate da 
          Dirac pervenivano infatti a conclusioni speculari e la soluzione che 
          descriveva un elettrone era accoppiata a un'altra, che descriveva una 
          particella sconosciuta, la quale sarebbe dovuta essere identica 
          all'elettrone ma con proprietà invertite. Il positone. Da 
          allora ci vollero solo pochi anni prima che tali particelle venissero 
          effettivamente scoperte tra i raggi cosmici, e ben presto si provò 
          l'esistenza di un anti-particella per ogni tipo di particella 
          conosciuta. Oggi, settant'anni più tardi, i positoni sono piuttosto 
          facili da produrre in laboratorio, ed è sufficiente che un fotone 
          gamma incontri un atomo perché si produca una coppia elettrone-positone. 
          Tuttavia, se l'elettrone nel nostro universo ha una vita pressoché 
          stabile, non si può dire altrettanto del positone, il quale non appena 
          ha la sventura di incontrare un suo gemello negativo, fa annichilire 
          istantaneamente la coppia di particelle, nell'inversione del processo 
          che l'aveva creata, e dunque restituendo un fotone gamma.
 
          
            
              |  |  | 
            
              | Fig. 1 
              Diagramma di Feynmann. Il processo di creazione-annichilimento 
              della coppia elettrone-positone può essere letto sia come grafico 
              spazio-tempo oppure, seguendo le frecce verdi, come "linea di 
              universo" di un'unica particella che torna indietro nel tempo 
              dall'istante B all'istante A. | 
            
          Già di per sé il fenomeno appena descritto ha qualcosa di 
          profondamente affascinante, ma Wheeler e 
          Feynmann, due tra le più brillanti menti della fisica del 
          dopoguerra, lo spiegarono avanzando un'ipotesi a suo modo 
          assolutamente sconvolgente. Dunque rivediamo un attimo tutto il 
          processo aiutandoci con il diagramma (S,t) illustrato in fig. 1. 
          Seguendo l'asse temporale in direzione crescente, all'inizio un fotone 
          (fB) incide un atomo all'istante B e produce un elettrone 
          (e2) e un positone (p) che si suppone vadano ognuno per la sua strada, 
          uno a destra e l'altro a sinistra. Quando poi il positone all'istante 
          A incontra un altro elettrone (e1), le due particelle si annichilano 
          producendo un fotone (fA). Ebbene, secondo l'audace ipotesi 
          di Feynmann, l'elettrone e1, il protone p e l'elettrone e2 sono tutti 
          e tre la stessa particella, dove il positone p è il nostro elettrone 
          che si muove indietro nel tempo! Come viene evidenziato sempre in fig. 
          1 dalle frecce verdi, per l'audace fisico americano si può considerare 
          che la particella segua una particolare "linea di universo" in cui 
          nella sua forma originale e1 cede un fotone fB all'istante 
          B e si trasforma in positone p, il quale procede a ritroso nel tempo 
          finché in A non assorbe un fotone fA, ritrasformandosi 
          nell'elettrone e2 che riprende a procedere di nuovo in avanti nel 
          tempo. Tra i due istanti B e A, dunque, la particella esisterebbe 
          contemporaneamente tre volte! Ma c'è di più. Secondo il suo socio 
          Wheeler, tutti gli elettroni dell'universo sarebbero in realtà 
          un'unica particella che semplicemente saltella avanti e indietro nel 
          tempo! Così, l'intero universo sarebbe composto da questo solo 
          elettrone, e anche da un solo protone e un solo neutrone ecc., 
          osservati un'innumerevole quantità di volte. L'ipotesi spiegherebbe 
          molto bene perché tutti gli elettroni sono identici tra loro, ma 
          implicherebbe anche che l'universo dovrebbe consistere metà di materia 
          e metà di antimateria. Quest'ultima però non è ancora stata trovata, e 
          ciò, in mancanza di prove contrarie, ci porta a presumere una netta 
          predominanza in natura degli elettroni sui positoni, facendo sollevare 
          forti dubbi sulla teoria di Wheeler.
          L'asimmetria che abbiamo appena osservato, però, ci porta a riflettere 
          nuovamente sulla questione della freccia del tempo, e ci suggerisce 
          che forse, per qualche ragione intrinseca ai primissimi istanti del 
          Big Bang, le leggi della natura potrebbero essere anch'esse, 
          esattamente come la materia, intrinsecamente asimmetriche rispetto al 
          tempo. Dobbiamo ammettere che a noi, animati dall'intento di spiegare 
          la plausibilità del viaggio nel tempo, quest'osservazione non fa 
          particolarmente piacere, perché potrebbe significare che la natura non 
          ci lascia aperta alcuna possibilità. Ma vedremo tra poco che non è 
          così. Tuttavia, prima di giungere a scoprire qual è la chiave che ci 
          serve per schiudere la porta del viaggio nel tempo, vale la pena di 
          prendere in considerazione un'altra importante non simmetria, una 
          proprietà del cosmo che gli scienziati hanno dimostrato e che è ormai 
          universalmente accettata: l'espansione dell'universo.
          E se davvero come molti ritengono, l'espansione dell'universo fosse 
          strettamente collegata alla freccia del tempo, significherebbe che se 
          un giorno l'universo smettesse di espandersi e cominciasse a contrarsi, 
          il tempo, analogamente, dovrebbe invertirsi. Con tutte le (apparentemente) 
          assurde conseguenze del caso. 
          opmet
          Qualsiasi concezione ciclica implica per necessità un "tornare 
          indietro", un riavvolgimento del nastro, un processo a ritroso 
          attraverso il quale si riesca a ripassare per le condizioni di 
          partenza, per poi ripartire in direzione opposta. Malgrado ciò, 
          nell'ottica dei rapporti causa-effetto e rispetto al modo di pensare 
          tipico della mente umana, l'idea di un tempo che scorre all'indietro 
          risulta profondamente assurdo. Una realtà con gli effetti che 
          precedono le cause, in cui i bicchieri rotti saltano dal pavimento per 
          ricomporsi sul tavolo, dove il caffelatte si scinde spontaneamente nei 
          suoi componenti che ritornano da soli nei loro contenitori e dove la 
          morte precede la nascita, appare priva di significato. Tanto più che 
          anche la memoria dovrebbe funzionare in maniera analoga e, a mano a 
          mano che il tempo torna indietro, dovrebbe essere lentamente svuotata 
          fino alla nascita, un po' come accade alla piccola Rachel in 
          Hyperion di Dan Simmons, in cui la ragazza, 
          misteriosamente mutata in seguito all'incontro con lo Shrike, viene 
          condannata a condurre una toccante esistenza a ritroso nel tempo fino 
          al momento della nascita.
          Basandosi sulla Seconda Legge della Termodinamica, negli anni '60 
          l'astrofisico Thomas Gold propose una teoria di 
          questo tipo, dove la freccia nel tempo risiede essenzialmente 
          nell'emissione unidirezionale del calore dalle stelle calde verso il 
          cosmo freddo, il quale, espandendosi, non riesce mai a scaldarsi, 
          esattamente come se cercassimo di riempire d'acqua un barile che 
          diventa ad ogni istante più capiente. Seguendo il suo ragionamento, 
          Gold aggiunse che se fosse stato possibile isolare termodinamicamente 
          in maniera perfetta una stella come il Sole, negandogli qualsiasi 
          possibilità di cedere calore all'esterno, l'astro avrebbe presto 
          raggiunto un equilibrio tale da farlo restare indefinitamente in 
          quello stato per sempre, arrestando in questo modo la sua 
          freccia del tempo. Cionondimeno, nel caso dell'universo, quest'ipotesi 
          non è applicabile poiché il cosmo è in espansione, e sarebbe questo 
          dunque il motivo per cui la freccia del tempo viene mantenuta costante 
          in una direzione.
          Supponendo però che l'universo un giorno decida davvero di iniziare a 
          contrarsi, come s'è detto ogni processo dovrebbe invertirsi e la 
          materia dovrebbe passare da uno stato disordinato a uno ordinato, 
          l'entropia diminuire, il calore fluire dai corpi freddi verso quelli 
          più caldi e, forse, tutta la materia si trasformerebbe in antimateria 
          e viceversa. Pur sapendo che è puramente accademico domandarsi cosa 
          succederebbe davvero in un caso del genere, giacché questo processo, 
          se mai si verificherà, avrà luogo tra miliardi e miliardi di anni e 
          per allora, pur con tutta la lungimiranza e la fiducia che possiamo 
          avere verso la nostra razza, difficilmente ci saranno esseri umani 
          sopravvissuti a testimoniarlo, viene da chiedersi se davvero, in caso 
          di contrazione dell'universo, ci sarà l'inversione del tempo. Ebbene 
          anche il celebre Stephen Hawking fu uno dei più 
          accesi sostenitori di quest'opinione, ma Don Page e
          Raymond Laflamme, rispettivamente collega e allievo 
          dell'eminente scienziato americano, dimostrarono che il collasso 
          dell'universo non è necessariamente speculare alla sua espansione ed 
          esiste almeno un modello di universo nel quale a seguito 
          dell'inversione dell'espansione non corrisponde l'inversione della 
          freccia del tempo. Per dovere di cronaca dobbiamo dire che Hawking fu 
          costretto a ricredersi e ammise pubblicamente di aver preso un 
          granchio colossale.
          Ad ogni modo ci sono buone probabilità che non sia necessario 
          attendere il termine dell'espansione dell'universo per assistere (forse) 
          all'inversione della freccia del tempo, perché potrebbero esistere già 
          regioni dello spazio-tempo aventi frecce del tempo opposte, regioni 
          che, finalmente, potrebbero fare al caso nostro. E la responsabile di 
          queste inversioni temporali potrebbe essere insospettabilmente la 
          forza più comune e fondamentale, ancorché misteriosa, di tutto 
          l'universo. La gravità. 
          La geometria del tempo
          
            
              |  |  | 
            
              | Fig. 2 Cono di 
              Minkowsky. Le regioni dello spazio-tempo sono rappresentate come 
              coni di luce passati e futuri. Il punto A definisce il "qui e 
              ora". E poiché la velocità della luce non può essere superata, un 
              oggetto non potrà mai uscire dal cono superiore, ovvero agire 
              causalmente su un evento che sta fuori del cono. Analogamente 
              nessun evento collocato nel cono inferiore può aver agito su di 
              lui. | 
            
          Tutto si basa sul presupposto che il tempo è una dimensione 
          dell'universo esattamente come lo sono le tre dimensioni dello spazio. 
          Fu Lagrange nel 1797 il primo a trattare il tempo 
          come una quarta coordinata spaziale, ovvero come una quarta dimensione 
          vera e propria. La teoria della relatività aveva poi confermato più 
          profondamente quella trattazione, presentando lo spazio e il tempo 
          come un unico continuum, chiamato spazio-tempo. Vale la pena 
          notare il fatto che già nel 1887, quando Wells scriveva il suo celebre
          La Macchina del Tempo e quindi quasi vent'anni prima che 
          Einstein pubblicasse la relatività speciale, considerava già la realtà 
          composta da una geometria quadridimensionale. "[...] se il tempo è 
          realmente solo la quarta dimensione dello spazio [...]", affermava lo 
          scrittore, "perché non possiamo muoverci nel tempo, come ci muoviamo 
          nelle altre dimensioni dello spazio?" La logica era ineccepibile, 
          almeno finché non arrivò prima l'ipotesi, e poi la conferma, che la 
          velocità della luce era assoluta per tutti gli osservatori e non 
          poteva essere superata. Questo diede un duro colpo alle aspirazioni di 
          Wells, poiché come aveva ben estrapolato Minkowsky 
          con il suo diagramma detto appunto cono di Minkowsky (fig. 
          2), il futuro e il passato rimanevano inaccessibili e, per la teoria 
          della relatività ristretta, tanto i viaggi nel passato quanto quelli 
          nel futuro restavano vietati. L'avvento della relatività generale però 
          restituì a Wells (e a noi!) qualche speranza, perché in essa le 
          dimensioni dello spazio non erano più considerate euclidee, ovvero a 
          curvatura nulla come ipotizzato anche da Minkowsky, ma grazie alla 
          presenza della forza di gravità, lo spazio e quindi anche il tempo 
          assumevano traiettorie tanto più curve quanto più elevata era la 
          gravità, come i lati di un triangolo costruito su una superficie 
          sferica piuttosto che sopra un piano.
          
            
              |  |  |  | 
            
              | Fig. 3 Esempio 
              di tipico diagramma cosiddetto "di immersione", che mostra come un 
              oggetto dotato di grande massa deforma lo spazio-tempo. |  | Fig. 4 Nessuno 
              ha mai fotografato un buco nero. Così dobbiamo affidarci a 
              rappresentazioni "artistiche" come questa. | 
          
          Ricostruendo allora il medesimo diagramma di Minkowsky, ma 
          considerandolo questa volta applicato a una geometria non euclidea 
          come, per esempio, una geometria cilindrica, Paul Davies ha dimostrato 
          che il cono di luce del passato può includere anche quello del futuro 
          e viceversa. Tutto dipende da quanto è pronunciata la curvatura del 
          continuum, ovvero da quanto è potente la forza di gravità che 
          distorce quella regione di spazio-tempo. Non basta ovviamente quella 
          esercitata dalla Terra, e nemmeno quella del Sole (fig.3). Ci vuole 
          una forza gravitazionale "infinitamente" grande, qualcosa che riesca a 
          distorcere e imprigionare anche quei raggi di luce che costituiscono i 
          limiti imposti dal cono di Minkowsky. Insomma, ci vuole un buco nero (fig. 
          4). 
          Ai margini dell'universo
          Sono a buon diritto gli oggetti più affascinanti del cosmo, e il 
          motivo è semplice. I buchi neri sono limiti all'infinito, confini 
          mistici verso qualcosa che non è osservabile, e per questo misterioso, 
          vere e proprie sfide non solo alla fisica e alla scienza in generale, 
          ma al pensiero razionale e alla metafisica stessa. Stadio estremo 
          della vita di una stella avente una massa maggiore di circa tre volte 
          quella del Sole, il buco nero è il risultato finale dell'azione della 
          gravità, una volta che la stella ha esaurito il combustibile nucleare 
          la cui reazione forniva la forza che contrastava ed equilibrava 
          l'effetto attrattivo della gravità stessa. Una volta giunta in questa 
          situazione, l'intera enorme massa della stella viene costretta in uno 
          spazio sempre più piccolo e il raggio del corpo celeste diminuisce, 
          aumentando proporzionalmente densità e gravità. Tale processo 
          inarrestabile procede finché il raggio del corpo celeste non raggiunge 
          il limite del cosiddetto raggio di Schwarzschild, dal nome 
          dell'astronomo tedesco contemporaneo di Einstein che per primo scoprì 
          il fenomeno, sotto il quale il corpo esce dalla nostra 
          possibilità di osservazione e non se ne sa più niente. Per qualsiasi 
          corpo materiale esiste infatti un raggio teorico al di sotto del quale 
          l'oggetto in questione diventa un buco nero. In altre parole, 
          comprimendo la massa di qualsiasi corpo, è possibile fare in modo che 
          esso eserciti una gravità tale da far convergere su di sé anche la 
          luce e quindi si sottragga allo spazio fisico come noi lo conosciamo. 
          Tale raggio ad esempio vale 2.9 km per il Sole, 0.88 cm per la Terra e 
          2.4x10-52 cm per un protone, ma il punto è che per certe 
          stelle il fenomeno di collasso oltre il raggio di Schwarzschild è del 
          tutto naturale, mentre non si verifica spontaneamente per gli altri 
          oggetti dell'universo.
          
            
              |  |  |  | 
            
              | Fig. 5 Altra 
              rappresentazione artistica, ma basata sulle osservazioni reali del 
              sistema binario SS433. Prima di cadere dentro un buco nero o una 
              stella di neutroni, la materia persa dalla stella gigante si 
              dispone secondo un anello di accrescimento intorno all'oggetto "pesante". 
              Si notano due emissioni di radiazioni dovute alla ionizzazione dei 
              gas che vengono espulse in opposte direzioni a un quarto della 
              velocità della luce. I colori differenti dei due getti evidenziano 
              il fenomeno dello spostamento delle frequenze delle lunghezze 
              d'onda della radiazione dovuta alla gravità. |  | Fig. 6 Il 
              diagramma di immersione di un buco nero è una versione limite di 
              quello già visto in Fig. 3, e viene rappresentato come un foro 
              nella struttura del continuum spazio-tempo. | 
          
          Ora, di buchi neri ne sono stati individuati almeno di quattro tipi 
          diversi a seconda della massa, della rotazione e della presenza di 
          carica elettrica, ma tutti hanno un'unica possente particolarità: 
          esercitare uno smisurato campo gravitazionale tale che ogni cosa viene 
          fagocitata e niente può uscirvi (anche se questo non è del tutto vero, 
          poiché ogni volta che della materia "cade" in un buco nero, esso 
          restituisce una certa quantità di energia all'universo sotto forma di 
          radiazione, fig. 5). Persino la luce, nel momento in cui oltrepassa il 
          confine critico chiamato suggestivamente "orizzonte degli eventi", 
          viene deviata dalla sua rotta e costretta a convergere dentro la 
          singolarità (fig. 6), il limite estremo posseduto da ogni buco nero 
          dove densità e curvatura spazio-temporale sono infiniti, dove le leggi 
          della fisica che conosciamo non valgono più e dal quale niente può 
          sfuggire. Ricordando quello cui abbiamo accennato prima, quando 
          abbiamo affermato che i buchi neri si sottraggono allo spazio, 
          non si deve pensare a questi oggetti come a corpi materiali simili a 
          pianeti o stelle, perché già verso la fine degli anni '50 fu scoperto 
          che la superficie di un buco nero non consiste di una barriera 
          propriamente fisica, ma è semplicemente un confine, un passaggio verso 
          una misteriosa regione del continuum spaziotemporale dalle 
          proprietà, come vedremo, alquanto bizzarre soprattutto proprio nei 
          confronti del tempo. Ma per scoprirle abbiamo bisogno di un 
          osservatore, qualcuno con una buona dose di coraggio, di curiosità e 
          di pazzia. E anche di poca voglia di vivere... 
          Verso l'orizzonte degli eventi
          Supponiamo dunque che un astronauta dotato delle caratteristiche di 
          cui sopra si offra di esplorare un buco nero. Immaginiamo che abbia 
          lasciato l'astronave a distanza di sicurezza, dove l'intensità del 
          campo gravitazionale esercitato dal buco nero risulta trascurabile, e 
          che abbia preso accordi con il suo comandante in modo da trasmettersi 
          reciprocamente un segnale ogni secondo a partire dalla sua uscita 
          nello spazio che avviene alle 10:00:00. Ipotizziamo infine che 
          l'attraversamento dell'orizzonte degli eventi sia previsto esattamente 
          tre ore dopo, ovvero alle 13:00:00 in punto. L'astronauta si lascia 
          così andare in caduta libera verso il buco nero, inviando e ricevendo 
          regolarmente i bip, mentre la gravità via via aumenta al 
          diminuire della distanza dall'esotico corpo celeste. Ben presto sia il 
          comandante che l'astronauta cominceranno a notare un effetto 
          straordinario. L'incremento della gravità esercitata dal buco nero 
          dovuto all'avvicinamento, provoca infatti una distorsione del 
          continuum spazio-temporale sempre più pronunciata, e fa in modo 
          che il comandante riceva i segnali dell'astronauta a intervalli di 
          tempo sempre più distanti tra di loro e, in maniera del tutto analoga 
          e speculare, che l'astronauta registri l'arrivo dei segnali inviati 
          dall'astronave sempre più velocemente (si noti che, per ognuno dei due, 
          la frequenza del proprio segnale sarà sempre di 1 bip al 
          secondo). In pratica l'intenso campo gravitazionale dilata sempre di 
          più il tempo dell'astronauta, finché l'esploratore spaziale non 
          raggiunge l'orizzonte degli eventi, dove la deformazione temporale 
          tende all'infinito. Sono ormai le 12:59:59 e l'ultimo bip, 
          quello inviato proprio in corrispondenza del raggiungimento orizzonte 
          degli eventi, in realtà non giunge mai all'astronave, perché essa 
          dovrebbe attendere un tempo infinito per riceverlo.
          E un fenomeno del tutto analogo accade anche alla luce che rivela la 
          posizione dell'astronauta e che, a mano a mano che egli si approssima 
          all'orizzonte degli eventi, impiega sempre più tempo a raggiungere 
          l'astronave. Il comandante osserverà allora la bianca tuta 
          dell'astronauta farsi sempre più rossa e rallentare progressivamente 
          fino ad arrestarsi proprio sull'orizzonte degli eventi, quando 
          contemporaneamente scomparirà dalla vista, essendo "caduta" in una 
          zona dalla quale la luce non può più emergere.
          In questa situazione limite, pochi microsecondi per l'astronauta 
          corrispondono all'eternità per il comandante dell'astronave e se 
          l'astronauta potesse restare sospeso sull'orizzonte degli eventi, 
          aspettando di essere raggiunto dalla luce proveniente dall'esterno, 
          avrebbe la possibilità di assistere alla futura storia dell'universo. 
          Questo sfortunatamente non è possibile e, una volta varcato 
          l'orizzonte degli eventi, le cose per l'astronauta si fanno piuttosto... 
          pesanti! 
          Dentro il buco
          I problemi di sopravvivenza per il nostro eroe sono causati 
          essenzialmente dall'elevata variazione della forza di gravità rispetto 
          alla distanza. In altre parole, poichè la forza di gravità varia in 
          maniera inversa rispetto al quadrato della distanza tra i centri delle 
          masse in gioco, una volta giunto in prossimità della singolarità, il 
          corpo dell'astronauta (supponendo per semplicità che egli cada "in 
          piedi" con le estremità inferiori dirette verso la singolarità) sarà 
          soggetto a forze gravitazionali molto diverse tra i piedi e la testa. 
          Pertanto, ad un certo punto, le sue estremità inferiori si troveranno 
          molto più vicine al centro della singolarità (e quindi soggette a 
          un'accelerazione maggiore) rispetto alla testa, e di conseguenza su di 
          esse verrà esercitata una forza gravitazionale molto maggiore. Per 
          questo motivo l'esploratore verrà "stirato" come uno spaghetto, e la 
          cosa non gli lascerà molto scampo. Malgrado ciò, nel caso in cui abbia 
          scelto oculatamente il buco nero in cui buttarsi, prendendone in 
          considerazione uno con una massa sufficentemente elevata, diciamo 100 
          milioni di volte il Sole in cui gli effetti mareali in corrispondenza 
          dell'orizzonte degli eventi sono maggiormente trascurabili, 
          l'astronauta avrà la possibilità di sopravvivere per qualche minuto 
          all'interno dell'orizzonte degli eventi (con una massa pari a 10 
          miliardi di volte quella del Sole, l'astronauta potrebbe viverci 
          addirittura un giorno intero!), potendo così dare un'occhiata alla 
          regione spazio-temporale che si trova "dall'altra parte" del buco nero.
          Secondo alcune teorie, quello che potrebbe presentarsi alla vista 
          dell'osservatore sarebbe un "altro" universo, del tutto speculare al 
          nostro, dove però la freccia del tempo è invertita. Sfortunatamente al 
          nostro astronauta non sarà permesso accedervi, come nemmeno potrà 
          tornare nel suo universo, ma rimarrà semplicemente imbrigliato in 
          questa regione confusa dove le frecce del tempo si scontrano, e sarà 
          inesorabilmente condotto verso la singolarità nella quale si 
          dissolverà nel nulla senza tempo. 
          L'orologio del salmone
          
            
              |  |  | 
            
              | Frank Tipler | 
            
          Si noti tuttavia che la soluzione che abbiamo prospettato poc'anzi, 
          cosiddetta dell'antimondo, è puramente matematica (come 
          peraltro l'ipotetica esperienza dell'astronauta), e vale solo nel caso 
          di buchi neri presenti nell'universo fin dalla sua origine. Per quelli 
          "ordinari", originati dalla morte delle stelle e quindi molto tempo 
          dopo la nascita dell'universo, che dovrebbero peraltro essere la 
          stragrande maggioranza se non la totalità, la soluzione viene 
          interrotta prima di giungere all'antimondo. E questo è il 
          motivo per cui le caratteristiche che sembravano finalmente consone a 
          ipotizzare un viaggio nel tempo, non possono essere utilizzate. 
          Nonostante ciò, nel 1980 Frank Tipler dimostrò di non 
          essere il tipo da lasciarsi scoraggiare e, apportando qualche 
          correzione a questa teoria, in un'intervista apparsa sulla rivista 
          francese Actuel (ed. it. Parto oggi e domani arrivo ieri, 
          su Frigidaire n. 10, 1981) affermò che viaggiare nel tempo era 
          possibile. "Immagini una calamita abbastanza potente", disse l'allora 
          giovane fisico americano riferendosi al diagramma di Minkowsky, "da 
          piegare il cono luminoso del futuro prima orizzontalmente e poi verso 
          il basso. All'interno del cono un osservatore avrebbe sempre 
          l'impressione di [...] scendere verso il futuro. In effetti, in questo 
          cono invertito, ripiomberebbe nel passato come se il fiume del tempo 
          risalisse alla sorgente". Ma Frank Tipler fece di più, riuscendo a 
          farsi pubblicare sulla prestigiosa Physical Review un articolo 
          sull'argomento. Il pezzo in questione, certamente una provocazione se 
          non un vero e proprio scandalo per i fisici più ortodossi, si 
          intitolava Rotating Cylinders and the possibility of Global Casual 
          Violation (Cilindri rotanti e la possibilità di una violazione 
          globale della causalità), e ispirò allo scrittore Larry 
          Niven un racconto sui viaggi nel tempo battezzato con il 
          medesimo titolo.
          Questa è la ragione per cui, è forse proprio al fisico matematico 
          della Tulane University della Lousiana, che ad oggi dobbiamo il 
          maggiore contributo della scienza ufficiale a favore dei viaggi nel 
          tempo. Del resto non bisogna dimenticare che Tipler non solo disse che 
          il viaggio nel tempo era plausibile e che una macchina del tempo non 
          poteva essere che un buco nero artificiale, ma fornì anche una ricetta 
          per realizzarla. 
          Nella gola del verme
          
            
              | 
  |  | 
            
              | Fig. 7 
              Diagramma di un cunicolo spazio-temporale. Un buco nero può essere 
              considerato anche una sorta di tunnel che connette due universi. | 
            
          "E' sufficiente una massa iperdensa in rapida rotazione su se 
          stessa, e i calcoli ci danno come miglior forma un cilindro lungo 
          cento chilometri, col diametro di venti, di 1014 grammi per 
          centimetro cubo (di densità), rotante sul suo asse alla metà della 
          velocità della luce". Secondo le indicazioni di Tipler, un oggetto di 
          questo tipo, chiamato anche wormhole (lett. buco verme o buco 
          di tarlo, più comunemente detto anche cunicolo, fig. 7) 
          riuscirebbe a curvare abbastanza il continuum spazio-tempo da 
          consentire uno spostamento temporale pur con qualche limitazione. 
          Innanzitutto la macchina stessa limiterebbe l'orizzonte del viaggio 
          nel senso che non si potrebbe andare nel passato prima della sua messa 
          in funzione, né nel futuro oltre il termine della sua esistenza, in 
          secondo luogo per adesso (e probabilmente ancora per molto tempo) è 
          impossibile fabbricare un oggetto avente una simile densità di materia, 
          e non si deve trascurare inoltre che la macchina consumerebbe 
          l'energia di un'intera stella. Per ottenere l'energia necessaria a far 
          funzionare un simile aggeggio, Tipler dice che "bisognerebbe coprire 
          l'intero pianeta Terra di pannelli solari, e in più aggiungere tutti i 
          reattori nucleari e tutte le riserve di petrolio conosciute". Per 
          finire bisogna considerare che un simile oggetto non potrebbe essere 
          installato sulla Terra, giacché non impiegherebbe molto a disintegrare 
          il pianeta, ragion per cui sarebbe di gran lunga consigliabile 
          sistemarlo nello spazio a un'adeguata distanza di sicurezza.
          
            
              |  |  |  | 
            
              | Fig. 8 Il 
              cammino attraverso un cunicolo come questo, potrebbe condurre a 
              regioni di spazio e tempi diversi. |  | Fig. 9 Si 
              tratta in pratica dello stesso diagramma di Fig. 8. Il cunicolo è 
              a tutti gli effetti una scorciatoia nelle quattro dimensioni, e 
              questo principio può essere utilizzato per muoversi sia nello 
              spazio che nel tempo. | 
          
          A prescindere dalle palesi difficoltà tecniche, il concetto appena 
          visto di wormhole è comunque ritenuto fondamentale dal punto di vista 
          fisico nello studio della plausibilità scientifica dei viaggi nel 
          tempo, tanto che nella seconda metà degli anni '80, Carl Sagan 
          chiese l'aiuto di K.S. Thorne, una delle massime 
          autorità in relatività generale, proprio per studiare un modello di 
          cunicolo che il famoso astrofisico potesse utilizzare per la stesura 
          di un romanzo di fantascienza, quel Contact divenuto poi 
          celebre anche presso il pubblico di non appassionati grazie 
          all'omonimo film di qualche anno fa con Jodie Foster. 
          Si noti tuttavia che in Contact la singolarità viene utilizzata 
          per spostarsi in maniera istantanea attraverso grandissime distanze 
          nello spazio, e non nel tempo, e questo la dice lunga su quanto i 
          concetti siano assolutamente intercambiabili tra loro (figg. 8 e 9).
          
          Macchine del tempo naturali?
          Ad ogni buon conto, Thorne e il suo allievo Michael Morris, 
          con l'aiuto di un terzo scienziato Ulvi Yurtsever, 
          pervennero anch'essi alla plausibilità del viaggio nel tempo, con un 
          modello tanto simile a quello di Tipler, che anche nel loro caso la 
          macchina risultò parecchio complicata da realizzarsi. Si pensi che la 
          "gola" del cunicolo concepito da Thorne e soci avrebbe dovuto essere 
          ampia almeno un'unità astronomica, ovvero circa centocinquanta milioni 
          di chilometri e inoltre, per passarvi attraverso, sarebbe stato 
          necessario rinforzarla con un materiale ancora inesistente, in grado 
          però di resistere alla feroce morsa gravitazionale.
          Ovviamente la realizzazione di un simile dispositivo è assolutamente 
          impossibile per le tecnologie di cui disponiamo oggi, e sembra 
          altamente improbabile che si possa mai riuscire a costruire e a 
          gestire una macchina di questo tipo. Ciononostante, alcune 
          caratteristiche dell'oggetto come la massa e soprattutto la rotazione, 
          del tutto paragonabili a quelle delle stelle pulsar più veloci, 
          suggeriscono la possibilità dell'esistenza nell'universo di macchine 
          del tempo naturali che forse, in un futuro più o meno remoto, 
          potrebbero essere trovate, studiate e utilizzate. 
          L'universo di Gödel
          
            
              |  |  | 
            
              | Kurt Goedel | 
            
          Se gli studi di Tipler, Thorne e Morris degli anni '80 e '90 
          costituiscono, almeno fino ad ora, i contributi forse più pesanti allo 
          studio della teoria fisica del viaggio nel tempo, bisogna dire che 
          essi non furono però i primi a prendere sul serio dal punto di vista 
          fisico la possibilità di spostarsi nel tempo. Per quanto ne sappiamo, 
          la prima volta che il viaggio nel tempo ha ricevuto una rigorosa 
          dimostrazione matematica è avvenuta nel 1949.
          Basandosi sulle equazioni della relatività generale, Kurt 
          Gödel, una delle menti più geniali che la matematica abbia 
          mai visto, concepì un modello di universo in rotazione perfettamente 
          in accordo con la teoria di Einstein, nel quale era "teoricamente 
          concepibile" viaggiare nel passato o comunque poterlo influenzare. 
          Questo perché Gödel dimostrò che in un universo in rotazione le 
          traiettorie di spazio-tempo, pur muovendosi costantemente verso il 
          loro futuro locale, possono arrivare ugualmente nel passato, 
          permettendo il viaggio nel tempo lungo traiettorie temporali chiuse. 
          L'intervento del matematico austriaco suscitò ovviamente grande 
          scalpore, e anche un certo imbarazzo, poiché la soluzione 
          rigorosamente corretta delle equazioni di Einstein non impediva in 
          alcun modo il classico paradosso temporale del viaggiatore che ritorna 
          nel proprio passato e incontra se stesso. Ma il vero problema, semmai, 
          era capire se le ipotesi di Gödel potevano essere applicate al nostro 
          universo, ovvero se esso stesso era rotante e, per la precisione, tale 
          da compiere un giro completo in 70 miliardi di anni. In questo caso, 
          il più breve cammino temporale chiuso si estenderebbe per circa 100 
          miliardi di anni luce, ovvero sarebbe questa la distanza da percorrere 
          per tornare indietro nel tempo. Ma anche su questo fronte però sembra 
          che non potremo andare da nessuna parte, essendo ormai assodato che il 
          nostro universo è finito e in espansione, mentre quello del modello di 
          Gödel è infinito e statico. Senza contare che il nostro universo 
          sarebbe anche troppo piccolo ("solo" 16 miliardi di anni luce di 
          raggio) per percorrere un "cappio temporale" così lungo. Insomma, 
          anche l'ipotesi di Gödel, peraltro fondamentale per aver inaugurato la 
          lunga processione di teorie sul viaggio nel tempo che sdarebbero sorte 
          nei decenni a venire, si è dissolta in una nuvola di fumo. Certo è che, 
          se non avessimo la pretesa di mandare noi stessi a spasso nel tempo, 
          potremmo forse accontentarci di riuscire più semplicemente a "comunicare" 
          con il nostro passato. 
          Tachione del mio cuore
          E' opinione comune che la relatività di Einstein prescriva che 
          nessun oggetto possa muoversi più velocemente della luce. Questo è 
          vero, almeno in un certo senso, ma il concetto dev'essere considerato 
          in maniera più sottile e ampia. Ciò che in realtà vuole significare 
          l'ipotesi di Einstein, è che nessun oggetto che si sia mosso (almeno 
          una volta nella sua esistenza) più lentamente di quanto faccia la luce, 
          potrà mai superare la velocità della luce stessa. Quello su cui il 
          postulato invece non si pronuncia, è sull'esistenza di oggetti che 
          vanno comunemente sempre più veloci della luce, ovvero non 
          rallentano mai al di sotto del valore limite di 300.000 km/s. Secondo 
          questo approccio, la velocità della luce costituirebbe un confine tra 
          due realtà materiali del nostro universo, la prima in cui gli oggetti 
          si muovono tutti e sempre al di sotto della velocità della luce, la 
          seconda in cui la materia si muove sempre al di sopra della velocità 
          della luce. E la luce, in mezzo, a fare da muro invalicabile. Tenendo 
          presente questo contesto, nel 1967 l'americano Gerald Feinberg 
          coniò il termine tachione (in greco tachys sta per 
          veloce), per indicare tutte le particelle che si spostano sempre a 
          velocità ultraluce (dette anche ultraluminali), contrapposte ai
          tardioni, quelle piu lente, come ad esempio i comuni protoni ed 
          elettroni, che però possono venire accelerate a velocità molto 
          prossime a quella della luce. I fotoni, i neutrini e molto 
          probabilmente i gravitoni, le particelle, tuttora ipotetiche 
          responsabili della forza di gravità, vengono invece denominate 
          luxoni per il fatto che sono capaci di muoversi esclusivamente 
          alla velocità della luce.
          Dicevamo dunque dei tachioni. Come ha mirabilmente descritto 
          Gregory Benford nel suo Timescape (1980, Editrice 
          Nord, Cosmo Oro 1989), romanzo che tra l'altro gli valse il 
          prestigioso Premio Nebula, muovendosi più veloci della luce, tali 
          particelle si sposterebbero all'indietro nel tempo, dando così la 
          possibilità se non di muoverci nel tempo noi stessi, almeno di poter 
          trasmettere messaggi ai nostri antenati-progenitori utilizzando 
          qualcosa di simile a un codice Morse inviato per mezzo di un segnale 
          tachionico. Come nel caso del romanzo di Benford, un espediente del 
          genere potrebbe essere assai utile per avvertire i terrestri del 
          passato, di un pericolo annidato nel loro futuro come per esempio una 
          terribile catastrofe ecologica.
          A prima vista questa soluzione avrebbe il grande pregio che, vietando 
          comunque agli esseri umani di viaggiare all'indietro nel tempo, ma 
          lasciando solo a particelle il compito di messaggeri dal futuro, 
          potrebbe evitare lo scontro con il paradosso e la violazione del 
          Principio di Causalità, secondo il quale le cause devono sempre 
          precedere gli effetti e che, nel caso di viaggi nel tempo, è il primo 
          argomento di attacco da parte degli scienziati e dei filosofi 
          maggiormente scettici. Ma in teoria non serve andare fisicamente nel 
          passato per violare il Principio di Causalità. Anche un semplice 
          messaggio inviato a vostro padre potrebbe essere sufficiente a fare in 
          modo che egli non sposi vostra madre, e che quindi impedisca la vostra 
          nascita.
          Per questo, sono molti infatti coloro che postulano l'esistenza di una 
          "Congettura di protezione cronologica", ovvero di un meccanismo 
          intrinseco al nostro universo che protegge dal viaggio nel tempo e 
          garantisce l'impossibilità di violare il Principio di Causalità. E' 
          quasi superfluo dire che, ovviamente, c'è già chi ha pensato anche a 
          questo, e che per costoro il viaggio nel tempo potrebbe essere 
          effettuato con assoluta tranquillità senza alcun timore di violare la 
          causalità. 
          Biancaneve e il gatto
          
            
              |  |  | 
            
              | Erwin 
              Schroedinger | 
            
          La maniera più semplice per evitare i paradossi che derivano dai 
          viaggi nel tempo è quella di ipotizzare che, in seguito ad un viaggio 
          temporale, l'universo si dirami. In altre parole, con il suo 
          spostamento temporale, il viaggiatore crea un universo alternativo, 
          ovvero "parallelo", rispetto a quello di partenza. Così, anche se, nel 
          più classico dei paradossi, andate nel passato e investite per sbaglio 
          vostra madre, non nascerete mai nell'universo che avete appena creato, 
          ma questo non modifica di una virgola l'andamento degli eventi 
          nell'universo da cui siete partiti. E nel momento in cui tornerete 
          nell'universo di partenza, qualsiasi atto voi abbiate compiuto 
          nell'altro universo, troverete la medesima, identica realtà che 
          avevate lasciato. Benché sembri un'idea alquanto bizzarra, più che 
          altro un escamotage logico per evitare la complicazione del 
          paradosso, esistono fisici accreditati che hanno preso molto sul serio 
          la teoria degli universi multipli. Uno per tutti, Erwin 
          Schrödinger, premio Nobel per la fisica nel 1933, illustrò 
          come funziona questo concetto escogitando un "esperimento mentale" 
          divenuto poi il prototipo degli esempi sugli universi paralleli su 
          base quantistica. Molti di voi ne avranno forse sentito parlare. Si 
          tratta del cosiddetto "gatto di Schrödinger".
          Supponiamo di aver chiuso in una scatola un gatto, insieme con un po' 
          di materiale radioattivo, un contatore geiger e del veleno, collegati 
          da un meccanismo per cui se il materiale radioattivo decade, emette 
          delle particelle rilevate dal contatore geiger, il quale fa partire un 
          meccanismo che rovescia il veleno e uccide il gatto. Chiusa la scatola, 
          attendiamo fino ad avere una probabilità del 50% che sia avvenuto il 
          decadimento radioattivo. A questo punto, quello che dobbiamo 
          domandarci è se il gatto è vivo o morto prima che apriamo la 
          scatola. Dal nostro punto di vista vi è il 50% di probabilità che il 
          gatto sia vivo e altrettante che sia morto, ma per la fisica 
          quantistica eventi come il decadimento radioattivo diventano reali 
          solo se vengono osservati e ciò significa che, finché non apriamo la 
          scatola, la sostanza radioattiva esiste in una "sovrapposizione di 
          stati" ovvero una combinazione delle due possibilità decaduta e non-decaduta. 
          Lo stesso dunque deve valere anche per il gatto, per cui, finché non 
          guardiamo dentro la scatola, l'animale è sia vivo che morto! Secondo 
          questa teoria, pertanto, ogni volta che esistono più possibilità a 
          livello quantistico, l'universo le segue tutte, dividendosi in 
          altrettanti universi "paralleli". Nel nostro caso, se nel momento in 
          cui apriamo la scatola troviamo il gatto morto significa che esiste un 
          universo parallelo dove il gatto è vivo e viceversa. Ed entrambi i 
          gatti e i "noi stessi" che hanno effettuato l'esperimento non hanno 
          alcuna percezione delle rispettive controparti dell'universo parallelo.
          La teoria è stata denominata dei "mondi paralleli" o anche dei "molti 
          mondi", e nell'ambito di questa concezione esisterebbero infiniti 
          universi di tutti i tipi, dove Biancaneve è esistita davvero, dove ci 
          sono ancora Adamo ed Eva nel giardino dell'Eden e dove la Seconda 
          Guerra Mondiale non è mai stata combattuta. Va detto però che, allo 
          stato attuale delle conoscenze, non è affatto chiaro in che misura le 
          teorie quantistiche abbiano qualche effetto, e in caso affermativo di 
          che tipo, a livello macroscopico, e quindi non è detto che ciò che 
          vale per le particelle subatomiche, valga allo stesso modo anche per 
          gli esseri umani. 
          Stringhe, palloni e tutto il resto
          
            
              |  |  | 
            
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          A onor del vero, bisogna dire che esistono numerose altre teorie, 
          altre possibilità e altre soluzioni alle equazioni della relatività 
          generale di Einstein che consentono, almeno in teoria, il viaggio nel 
          tempo. Ad esempio esiste quella su quei misteriosi lunghissimi oggetti 
          aventi un diametro di 10-29 cm e una densità di 1022 
          g/cm, chiamati stringhe cosmiche. Secondo Richard Gott 
          dell'università di Princeton basterebbe prenderne due e metterle in 
          movimento in direzioni opposte ad altissima velocità, per creare 
          cammini temporali chiusi in grado di far viaggiare nel tempo. C'è poi 
          la suggestiva teoria dei crononi, particelle di tempo che 
          definiscono il più piccolo intervallo di tempo definibile (10-24 
          secondi, calcolati come il tempo che impiega la luce per attraversare 
          la distanza più piccola che si conosca) e che potrebbero essere 
          utilizzate per intervenire direttamente sul tempo. E ci sono infine 
          anche le ipotesi dei palloni quantistici di Aharonov e dei bizzarri 
          universi NUT, dalle iniziali degli scienziati Newton, Unti e Tamburino 
          che li hanno ipotizzati come una sorta di curiosa evoluzione degli 
          universi gödeliani, ma perfettamente in accordo con le leggi della 
          fisica.
          Quelle che abbiamo visto un po' più nei dettagli, pur senza avere la 
          pretesa di essere esaustivi, ma solo di stuzzicare il fascino e la 
          curiosità verso un argomento che da tempo ormai la fantascienza ha 
          ceduto alla scienza, sono solo le teorie che ad oggi godono del 
          maggior credito presso gli scienziati. Teorie affascinanti che, 
          sebbene non ci permettano ancora di portarci sulle caravelle di 
          Cristoforo Colombo né tra la folla che fece crocifiggere Cristo, 
          contribuiscono a farci cogliere quanto il mistero del tempo sia 
          strettamente collegato alla comprensione dell'universo intero, 
          qualcosa che unisce l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, 
          qualcosa che travalica la stessa fisica e coinvolge da vicino tutti 
          quanti noi come esseri umani inseriti in questa realtà straordinaria, 
          ancora piena di segreti da svelare. 
          Aspettando Emmett Brown
          
            
              |  |  | 
            
              | Il mitico 
              flusso canalizzatore inventato da Emmett "Doc" Brown | 
            
          Ricordate lo scienziato schizzato e genialoide della trilogia di
          Ritorno al Futuro? Ebbene, navigando sulle onde luminose di 
          Internet, alla ricerca di tutto ciò che faccia rispondere il motore di 
          ricerca al fatidico richiamo: "Time travel", non è difficile 
          imbattersi in persone di tutto il mondo che tentano di costruire 
          realmente una macchina del tempo (per non parlare di coloro che dicono 
          di esserci già riusciti!). Ma quello che sorprende maggiormente non 
          sono tanto le teorie spesso assolutamente strampalate, piuttosto il 
          fatto che di questi Emmett Brown fatti in casa, che illustrano con 
          convinzione le loro congetture e i loro esperimenti on-line, ce ne 
          sono più di quanti si possa sospettare. Un piccolo esercito di amanti 
          del bricolage cosmologico che, dandosi da fare dentro 
          scantinati umidi, illuminati dalla luce di una lampadina penzolante in 
          fondo a un filo, inseguono tutti un medesimo sogno. Comunque li 
          vogliamo chiamare: pazzi, visionari, fuori di testa, ossessionati, 
          frustrati, perditempo o esibizionisti, di sicuro essi incarnano con 
          artigianale ingenuità quella che potrebbe essere la più grande sfida 
          scientifico-tecnologica del prossimo millennio; e se, come 
          probabilmente si verificherà, non sarà uno di loro a inventare quel 
          flusso canalizzatore che potrebbe stravolgere le sorti dell'umanità, 
          c'è da scommettere che sarà di nuovo un uomo solo a cambiare la storia 
          ancora una volta. Da Newton a Einstein trascorsero duecento anni e 
          forse ci toccherà aspettare altrettanto. Ma del resto, visto che 
          quando l'uomo ha dimostrato che una cosa era plausibile ha sovente 
          finito per realizzarla, perché questo non dovrebbe valere anche per il 
          viaggio nel tempo? Insomma, i misteri sono ancora tanti e l'avventura 
          è solo all'inizio, ma il tempo è l'unica cosa di cui abbiamo bisogno, 
          e quello non ci manca di certo. 
          Bibliografia
          La nascita del tempo, di Ilya Prigogine, Theoria 1988
          Saggio sul tempo, di Norbert Elias, Il Mulino 1986
          I misteri del tempo, di Paul Davies, Oscar Saggi Mondadori 1996
          Dal Big Bang ai buchi neri, di Stephen Hawking, Rizzoli 1988
          Guida alla teoria della relatività, di Vittorio Silvestrini, 
          Editori Riuniti 1982
          La scienza della fantascienza, di Renato Giovannoli,Bompiani 
          1991
          Costruire la macchina del tempo, di John Gribbin, Aporie 1996
          Tempo -- Guida per viaggiatori, di Clifford A. Pickover, 
          Raffaello Cortina Editore 1999
          Fisica (vol. 2), di D. Halliday e R. Resnick, Casa Editrice 
          Ambrosiana 1985
          I mostri del cielo, di P. Maffei, Ed. Mondadori 1976